LA VALLE DEL TORRENTE RIMONTA
I piccoli insediamenti rurali aggrappati ai ripidi pendii o sospesi sull’orlo di gole rupestri rappresentano il tratto distintivo della Valle della Rimonta. Originata dalla confluenza della Val d’Arc e della Val del Cordellon – due sistemi vallivi profondamente insinuati nel cuore della catena prealpina, separati dalla dorsale del monte Foral, dotati entrambi di un reticolo affluente ben strutturato di vallette e ripidi impluvi, spesso impostati lungo faglie – la valle del torrente Rimonta si spinge, con un tracciato a volte angusto e tortuoso, fino a lambire i paesi di Lentiai e Bardies, per poi aprirsi e raccordarsi al greto del Piave con un ventaglio di ghiaie e ciottoli (conoide alluvionale).
I versanti ripidi, il fondovalle stretto/tortuoso e i frequenti tratti di forra segnalano il ruolo rilevante svolto dal torrente Rimonta nella morfogenesi della valle. I cordoni morenici (Salvarada, Candaten, Cordelach), le diffuse plaghe moreniche che rivestono i lembi meno acclivi dei versanti, i terrazzi di margine glaciale (Cordellon, Montane) e il gradino roccioso di valle sospesa della cascata “Pisota” documentano del resto anche un’importante azione di modellamento glaciale, operata da un ramo laterale insinuato del grande ghiacciaio del Piave durante l’era glaciale.
LE FORRE DEL TORRENTE RIMONTA
Il torrente Rimonta, come i vicini torrenti Terche e Ardo, scorre per alcuni tratti imprigionato all’interno di forre e gole rupestri strettissime, cupe, umide (“serrai della Rimonta”), incise nei calcari selciferi stratificati della formazione del Biancone. Numerosi sono i piccoli canyon che si incontrano risalendo il corso tortuoso del torrente dall’imbocco della valle: forra di Candaten, forra di Cordelach, piccola forra di Costa bassa, forra di Val d’Arc, orrido di Penagol, gola rupestre di Scarlir, serrai e forre che precedono i due salti della cascata “Pisota”.
Le forre di Candaten, di Cordelach e di Costa bassa sono piccoli canyon rupestri incisi dal torrente per aggirare degli “sbarramenti morenici” (cordoni/accumuli morenici frontali) deposti da una lingua laterale insinuata del ghiacciaio del Piave durante le fasi di ritiro (18 – 16 mila anni fa).
L’orrido di Penagol si è approfondito e inforrato negli strati calcareo-selciferi del Biancone dopo aver aggirato e inciso un grande ammasso detritico, forse corrispondente all’accumulo di una frana antica.
Nell’alta valle, il profilo longitudinale del fondovalle è rotto da un gradino rupestre di valle sospesa (di eredità glaciale) che il torrente supera con due alti salti (rispettivamente di trenta e di cinquanta metri circa). È la “Pisota”, idronimo colorito che indica la cascata che raccorda il tratto a monte, inciso da una breve forra in erosione regressiva: la lunga gola rupestre di Scarlir a valle, forse impostatesi in origine come forra subglaciale (scavata cioè da un torrente che scorreva sotto la lingua glaciale insinuata).
IL PAESAGGIO NELLA STORIA
I pendii ripidi e disagevoli che per ampi tratti caratterizzano i versanti della Val Rimonta e della Val d’Arc non hanno scoraggiato fin dal lontano passato una frequentazione stagionale della valle da parte di pastori (pascoli alti di Col Moscher, del Foral e dei crinali Artent-Garda) e di boscaioli locali delle contee di Cesana e di Zumelle.
Notizie frammentarie (F. Tremea, Villaggi lenitaiesi, 2000) raccontano di una valle scelta nel XV- XVI sec dalla Repubblica di Venezia come luogo sperduto, ricco di faggete, per la deportazione coatta di diverse decine di prigionieri da impiegare in campi di lavoro per lo sfruttamento delle risorse forestali (il legname, materia prima richiestissima e strategica per l’economia della Serenissima, fluitato lungo l’asta del Piave dai menadas, trovava impiego nella fiorente cantieristica navale, nelle costruzioni e per palificate di fondazione da conficcare nelle molli fanghiglie delle barene lagunari). Non è noto il destino della piccola comunità di prigionieri (forse arabi/musulmani), anche se è verosimile che si sia estinta per gli stenti e per morte naturale, forse lasciando qualche “traccia genetica” frutto di storie clandestine con donne locali.
Nel Seicento la potente famiglia Maccarini, mercanti veneziani trapiantati a Mel, ottiene una vantaggiosa concessione per lo sfruttamento intensivo dei boschi di latifoglie e delle faggete della valle (il libro “Piani particolareggiati” dello storico G. Corazzol, 2016, raccontando la storia di questa famiglia, offre uno spaccato inedito e sorprendente della vita nella contea di Mel nel Seicento, con un ricco repertorio di intrighi e violenze).
Nel XVII – XVIII sec, forse in seguito a un lieve incremento demografico, la ricerca di nuove terre da coltivare spinge alcune famiglie contadine a insediarsi stabilmente nella valle per iniziare un’attività agricola tradizionale (prati da foraggio, seminativi, allevamento bovino). Inizia così la vera colonizzazione umana della valle, coronata agli inizi del Settecento dalla costruzione della chiesetta di S. Sebastiano (e più tardi, agli inizi del XX sec della latteria turnaria e della scuola elementare, entrambe chiuse da tempo). Nascono (o si consolidano) piccole borgate rurali (Cordellon, Vanie), contrade e nuclei di poche case (Candaten, Cordelach, Le Carine, Salvarada, Pedevilla alta e bassa, Penagol, S. Sebastiano, Costolada, Tacca, Il Portico), cortivi e dimore isolate (Case Savaris, C. Zuccolotto, C. Ceccati, …), casere stagionali, rustici, ricoveri , disseminati e aggrappati lungo i fianchi vallivi. Piccoli insediamenti che occupano le nicchie meno acclivi e i micro-terrazzamenti naturali che rompono qua e là le coste scoscese e che danno forma nell’insieme a un microcosmo insediativo disperso, interconnesso da una trama di stradine strette, viottoli, mulattiere che si snodano a mezza costa raccordati da ripidi sentieri zigzaganti. Il processo di insediamento, con la costruzione di case contadine e rustici in pietra calcarea (calcari selciferi del Biancone), accompagnato anche dalla realizzazione di terrazzamenti, durerà fino alla fine dell’Ottocento quando, sulla spinta della miseria e dell’indigenza, molte famiglie sceglieranno la strada dell’emigrazione transoceanica (Brasile, Messico, Argentina, Stati Uniti). L’esodo migratorio continuerà anche dopo la seconda guerra mondiale, prevalentemente verso l’Europa ricca (Svizzera, Francia, W-Germania, miniere del Belgio), con l’epilogo inevitabile dell’implosione sociale, dello spopolamento della valle e dell’abbandono quasi completo delle case contadine.
LA SITUAZIONE ODIERNA
Oggi le radure prato-pascolive e le ripide coste prative da “fieno selvaggio”, faticosamente sottratte alla foresta e destinate in passato al pascolo e allo sfalcio, sono oggi in parte abbandonate e ricolonizzate dal bosco di latifoglie. Anche le plaghe subterrazzate di terra morenica nell’intorno dei piccoli nuclei insediativi, un tempo destinate ai coltivi (seminativi, orti), mostrano talora (soprattutto nell’alta valle) i segni dell’abbandono, assediate dalla vegetazione ruderale.
La Val Rimonta è oggi un esempio emblematico (in buona compagnia con altri settori prealpini) di “area marginale in crisi di identità”. Una valle in bilico tra un passato di miseria e di stenti, ma ancorato saldamente a un sistema di valori e modelli di vita consolidati che davano senso all’esistenza (il legame con la terra, la famiglia, lo spirito di appartenenza alla comunità, la devozione religiosa) e un presente/futuro incerto e ambivalente, sospeso tra abbandono definitivo e timida riscoperta/ri-frequentazione turistica (B&B, agriturismi), ricreativa (ristrutturazione di casere per il weekend), sportiva (m-bike, e-bike, itinerari ippici, canyoning). Sarebbe auspicabile, prima che sia troppo tardi, che questo microcosmo insediativo di case rurali, rustici, ricoveri, casere, terrazzamenti, muretti a secco, venisse censito, da un gruppo di lavoro locale o come ricerca, per lasciare una traccia, almeno documentale, del paesaggio umano di questa valle e per dare un senso alle fatiche e agli stenti di tanta povera gente.