Di ritorno da questa intervista apro l’atlante, dove la terra ha ancora l’immagine rassicurante e collettiva di una lunga distesa di terre, fiumi, città, confini, mari e non la disturbante prepotenza del dettaglio fotografico che ci restituisce Google Earth.
Nell’atlante di scuola la terra è qualcosa di vicino, di familiare, nel quale l’altrove non è un luogo di vacanza, lontanissimo, mitico, ma è a tutto davanti a te e dove tra il Gabon e l’Argentina pochi centimetri non fanno poi una gran differenza. Una visione da scolari, questa, del mondo come un villaggio globale non economico ma di comunità e popoli, o da gente che di questo mondo si sente cittadina. Dappertutto si sente utile, possibile, umana. Come Viviana Olivier, funzionaria Onu originaria di Pedavena, che dal quartier generale Unicef, piuttosto che dal palazzo di vetro a New York, da vent’anni si sposta ovunque ci sia un’emergenza, un bisogno di aiuto ed è appena rientrata via Giordania da una missione in Yemen.
Viviana, raccontami in cosa consiste il lavoro di un funzionario Onu.
L’Onu, che è l’organizzazione tra le nazioni nata nel secondo dopoguerra che tutti conoscete, ha molte agenzie al suo interno. Tutte sono specializzate e lavorano sul campo, in ambiti diversi, soprattutto dove ci sono crisi umanitarie a causa di un’emergenza complessa, cioè un’emergenza generata da fattori sovrapposti e intersecati. Come in Yemen, ad esempio, nel quale ai problemi sociali, strutturali e politici si è aggiunto un conflitto armato che dura da sei anni, portando la popolazione allo stremo. Io e il mio team ci occupiamo della gestione delle risorse finanziarie ricevute nell’ambito di una risposta umanitaria e di coordinamento sul territo di agenzie Onu (come Unicef) e organizzazioni non governative (come Save the Children), negoziando e lavorando n cooperazione con i governi locali.
Una competenza molto estesa quindi…
Sì, gli ambiti di lavoro vanno dalle emergenze nutrizionali e sanitarie alle politiche di sostegno ed empowerment di donne, alla gestione dell’acqua potabile, al sostegno alla scolarizzazione, alla protezione dei più vulnerabili come i bambini. I programmi d’assistenza durano dai due ai cinque anni: noi seguiamo il supporto tecnico, l’organizzazione, il monitoraggio, la distribuzione delle risorse e le raccolte fondi.
Secondo un radicato luogo comune il denaro donato ad associazioni così grandi va per la maggior parte perduto nel percorso di sostegno e ai beneficiari ne arriva una minima parte. È vero?
Assolutamente no, è responsabilità dell’Onu gestire attentamente i fondi che raccoglie da donatori pubblici e privati. C’è un rigoroso controllo sulla destinazione e l’uso dei fondi; la percentuale destinata all’organizzazione varia da paese a paese ma generalmente è intorno al 15 – 19 per cento e serve a sostenere i costi fisici.
Quindi ogni due tre anni parti per un nuovo paese con un nuovo progetto. Com’è essere sempre in giro? Non ti manca la tranquillità di un impiego stanziale?
Io parto sempre piena di entusiasmo anche adesso dopo tanti anni perché so che vado a fare qualcosa di utile. Non faccio io i vaccini nei villaggi poveri dello Sri Lanka, ma contribuisco a creare le condizioni affinché i vaccini ci siano e siano fruibili alla popolazione. Sono sempre stata consapevole di essere fortunata, di aver avuto nella mia vita in Italia molto più di quello che ancora oggi molti hanno. Mi sento di restituire un po’ di questo. Ci sono anche periodi di ufficio al Palazzo di Vetro, ma io ho scelto questa carriera perché volevo andare sul campo ad aiutare e lì cerco di essere il più vicina possibile. Questo voglio continuare a fare.
Come si arriva a un impiego come questo?
Con molta fatica e determinazione. Sono necessari una buona conoscenza delle lingue ed un percorso di laurea magistrale (per Viviana Studi Internazionali, ndr). Poi determinazione, coraggio, intraprendenza, cercare le occasioni di formazione, molta curiosità e senso critico, che è cosa diversa dal giudizio. Bisogna avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, se ci credi e insisti le occasioni arrivano prima o poi. Io per partecipare ad una scuola specializzata a Ginevra da ragazza mi feci prestare i soldi da due amici! È da lì che tutto è iniziato. Fondamentale è il supporto della famiglia perché è una scelta personale che incide anche su chi ti vuol bene. Io sono stata molto fortunata con mamma Lisetta, che è sempre stata la mia prima tifosa.
È una sensibilità innata o che si crea con il tempo?
Pensandoci, credo che tutto parta dalla mia famiglia. Da mio nonno, dai suoi racconti sulla campagna d’Africa. Non raccontava della guerra italiana, ma della gente, dei luoghi, dei colori. E da mio zio, imprenditore in Zambia che ci ospitava per le vacanze. Ecco, io l’Africa l’ho sentita sempre come un ritorno, una restituzione familiare.
C’è un progetto al quale sei particolarmente legata?
Sì, il progetto per i bambini in Africa occidentale. Nei territori di Nigeria, Niger, Camerun e Ciad nei territori di scorribanda dei terroristi di Boko Haram. Terrorizzano la gente, fanno incursioni nelle scuole, i bambini per paura non ci vengono più mandati. Tuttavia, noi abbiamo ben presente come la scolarizzazione sia chiave perché queste giovani vite abbiano un’opportunità di riscatto. Così abbiamo messo in piedi un progetto Unicef e Unione Europea per creare un programma di scolarizzazione protetto nell’ambito delle comunità e in lingua locale: alfabetizzazione per radio. La radio la ascoltano tutti, trasmettiamo insegnamenti di lingua francese e matematica, i bambini, in mancanza di carta e penna, scrivono sulla sabbia ma scrivono. Così centinaia di bambini e bambine hanno potuto accedere all’istruzione senza rischiare la propria incolumità. In Europa sembrano favole, nella maggior parte del mondo sono amare realtà. Per questo ci siamo noi, tutti, con l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Viene proprio in mente Louis Ferdinand Celine, e il suo Voyage: quello che farebbe un uomo più grande della sua povera vita è l’amore per la vita degli altri.