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Villa Rudio a Landris

storia di un casato e di una prestigiosa dimora

Villa Rudio a Landris

storia di un casato e di una prestigiosa dimora

La costruzione, imponente sulla sommità del piccolo colle, domina l’antico borgo e le sottostanti dimore padronali, divenute ville in secoli successivi. Una tavoletta lignea, ritrovata durante i lavori di sistemazione del pavimento, ne consentono la datazione. Vi si legge: “1685 – 5 luglio – R(everendo) – Seb(astiano), R(udio), pievano di Sedico fece fare questo palazo da me Bartolomio Dalo … muraro di anni 30 e fu gran guera in Ungaria”. Si tratta del conflitto contro i Turchi che vide nel 1686 la liberazione di Buda (odierna Budapest) ad opera di una coalizione capeggiata dagli austriaci. Appare evidente che a guidare il sia pur esperto muraro (i Dall’Ò, come i Cervo e i Vieceli, maestranze lombarde nelle costruzioni qui immigrate dalla Lombardia) doveva esserci un architetto dotato di notevole cultura e di grande esperienza costruttiva, sicuramente venuto da altra provincia del Veneto, vista l’impostazione stilistica dell’edificio, che sembra così pensato per ostentare le capacità economiche della famiglia Rudio.

Il casato e la Pieve di Sedico
I Rudio, originari di Crema e a Belluno già da antica data, presero probabilmente il loro cognome dalla contrada de Rudo dove abitavano. Il personaggio che diede più lustro al casato fu certamente Eustachio (Belluno circa 1548 – Udine 1612), professore di medicina all’Università di Padova e autore di numerose opere mediche ancora apprezzate secoli dopo. Due sacerdoti di questa famiglia, residenti a Belluno ed entrambi conti, furono in successione pievani (parroci) di Sedico. Il primo fu Tomaso, dal 1614 fino al 1649 quando (aveva 60 anni) rinunciò alla parrocchia restando a Sedico col suo successore di cui era zio; era stato nominato pievano con bolla di papa Paolo V; morì nel 1665. Il secondo fu Sebastiano dal 1650 al 1689 nominato con bolla di papa Innocenzo X. Uno dei due dovrebbe essere il committente della pala di Villa in cui è rappresentato coi santi titolari Gervasio e Protasio. Fra don Tomaso e la popolazione di Sedico ci furono dei contrasti: fu accusato di accentrare l’amministrazione delle chiese: nel 1649 fu assolto dalle autorità ecclesiastiche con formula piena.

Don Sebastiano conte Rudio
Dai verbali delle visite pastorali del vescovo Berlendis risulta che i parrocchiani erano contenti del loro pievano don Sebastiano: le notizie date al presule dai rappresentanti della popolazione erano state tutte positive. Ciononostante, quando il pievano, che era molto ricco, propose alla gente di collaborare nell’edificazione di una nuova canonica al posto di quella vecchia che riteneva insufficiente (loro dovevano aiutarlo nel trasporto dei materiali e lui avrebbe provveduto alla sua costruzione, all’arredamento e al pagamento di tutte le spese), ne ebbe un rifiuto. Di tasca propria egli fece costruire una parte aggiunta alla precedente con linee architettoniche che si richiamavano a quelle delle ville venete (si tratta della canonica demolita nel 1960).

Nel 1690, ritiratosi a vita privata, soggiornava nella grandiosa villa di Landris che si era fatta costruire. Tra i numerosi quadri, raffiguranti personaggi del casato Rudio appesi alle pareti della villa (spariti nel 1917-18 durante l’invasione tedesca che vandalizzò la prestigiosa dimora) Ida Milanesi, figlia degli allora proprietari lì dimoranti, così ricordava quello del reverendo don Sebastiano per averlo avuto sempre sotto gli occhi: “Era il ritratto di un uomo di aspetto bonario, robusto, dal viso rotondo roseo, dai lineamenti piccoli e volitivi, dallo sguardo dolce e fermo ad un tempo, le mani bianche e signorili appoggiate al Vangelo; una luce chiara bonaria serena invadeva tutta la sua persona”.

La villa: breve descrizione
Dal punto di vista architettonico, straordinaria è la parte centrale della facciata principale, ricca di elementi come il portale di ingresso, il poggiolo, le trifore, il timpano e il frontone triangolare, disposti su piani nettamente delimitati da linee orizzontali. Internamente (con affreschi del Moech), i due piani si presentano pressoché identici con una lunga sala centrale fiancheggiata da due stanze quadrate per parte.

I passaggi di proprietà
Morto don Sebastiano (1700), la villa fu ereditata da una Rudio sposata col dott. Claudio Gervasis, fu poi probabilmente acquistata dal conte Claudio Doglioni che la vendette a Giovanni Wenter. Morto quest’ultimo, la vedova Elisabetta Alpago, senza figli, la lasciò alla sua pronipote Elisabetta Salce che sposò Camillo Milanesi amministratore dell’eredità. Dai Milanesi fu venduta ai Giacomelli e da questi ai Simonetto che l’hanno riportata all’antico splendore.

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