Mi viene incontro a passo svelto, mascherina che lascia intravedere la barba grigia ma soprattutto gli occhi vivaci che sorridono al posto della bocca che non si vede: «Bondì pupa, tutto ben?». La sua vitalità contrasta con le 77 primavere, 50 delle quali trascorse all’ombra di queste pensiline gialle sotto le quali doveva tenersi a settembre una grande festa, ma il Covid ci ha messo lo zampino. E così, tutto rinviato a quando l’emergenza sarà passata.
Una vita da… benzinaio (magari il Liga ci potrebbe fare una canzone) ma in realtà, prima di destreggiarsi tra carburanti e affini, Adriano D’Incà di lavori ne ha fatti molti altri. Terminate le scuole elementari, frequenta i corsi per diventare muratore ma, nel frattempo, si alza per un anno e mezzo alle 4 del mattino per distribuire il pane in giro per il comune a bordo della sua bicicletta.
A 16 anni emigra, come tanti a quei tempi, in Svizzera, e finisce a Zermatt dove ha il compito di trasportare i vagoni col materiale di risulta fuori dalle gallerie. Ci resta fino al 1961, anno in cui parte per la Liberia sotto tutela del fratello più grande non essendo lui ancora maggiorenne. Lì rimane per 24 mesi a costruire strade, ponti e case con la ditta Vianini di Roma. Tornato in patria, si arrabatta con alcuni lavoretti nelle fabbriche dei dintorni fino a quando giunge l’ora di partire per la leva, nel ’65.
«Ho trascorso 15 mesi negli alpini, prima facendo il CAR a Boves in Piemonte e poi ad Agordo nella 68^ compagnia col grado di Caporal Maggiore» racconta. «Quello del militare è stato per me un periodo spensierato durante il quale ho stretto rapporti di amicizia che durano tuttora. Gli alpini per me sono come una famiglia!
Finita la naja, sono nuovamente partito per l’Africa, stavolta per il Venezuela con la Kaiser, una ditta americana che stava costruendo la grande diga di Guri sul Rio Caronì, il secondo fiume dello stato africano.
Contrariamente alla prima, questa esperienza mi ha lasciato addosso molta amarezza. Il lavoro era pericoloso, ho visto morire molte persone, anche bellunesi. Basti pensare che su 260 italiani partiti con lo stesso contratto, solo 8 lo hanno portato a termine, gli altri o hanno avuto incidenti o non hanno resistito alle condizioni di lavoro. Purtroppo in quegli anni qui da noi andare all’estero era praticamente l’unica soluzione per guadagnare qualcosa. Poi c’è stato il Vajont e l’arrivo delle prime grandi fabbriche e la gente ha cominciato a rientrare e rimanere stabilmente».
Qualche mese dopo il suo rientro dal Venezuela, Adriano si sposa e mette su famiglia. Nel frattempo lavora un po’ qua un po’ là fino a quando riceve da Costante Righes, gestore del distributore Agip, che allora si trovava al posto dell’attuale Unicredit, la proposta di rilevare l’impianto.
«Inizialmente non ero molto convinto, non sapevo nulla del mestiere, ma sono bastate due settimane sul campo, affiancato all’operaio di Righes, per capire che avrei potuto farcela. Così è cominciata la mia carriera di “petroliere”» dice ridendo. «Per 15 anni sono rimasto nella sede originaria, vicino alla piazza, e poi l’impianto è stato spostato nella sede attuale dove, nonostante gli anni trascorsi, fa ancora la sua figura!».
Certo i tempi attuali sono ben lungi dal somigliare, anche solo lontanamente, agli anni 80 quando si poteva arrivare ai due milioni e mezzo di litri di carburante erogati e 500 cartoni da 24 lattine di olio vendute… «A Trichiana c’erano ben sei distributori e tutti riuscivano a vivere dignitosamente e mantenere le rispettive famiglie. Si lavorava tanto, non c’erano i self service, ogni tanto la domenica si era di turno e c’era il giorno di riposo infrasettimanale, cose che adesso sembrano incredibili. Per qualche anno, ho dato lavoro a ragazzi durante le vacanze estive. Ora, a ben guardare, il gioco non vale la candela e io sarei in pensione già da un bel po’, ma stare in mezzo alla gente mi piace e senza fare qualcosa non so stare, quindi rimango qui, anche perché, come ti ho detto, devo comunque fare la festa per i 50 anni!».
Una delle grandi passioni di Adriano sono le auto d’epoca: possiede una Thema e una Fulvia Zagato con le quali partecipa ogni tanto a qualche gara di regolarità, ma senza velleità agonistiche. Non sopporta, invece, tutta la tecnologia, diventata sempre più parte integrante del suo lavoro.
La nostra chiacchierata è stata spesso interrotta dall’arrivo di clienti, per ognuno dei quali Adriano ha trovato il tempo di fare due parole, memore forse di quando il suo lavoro era molto di più che cliccare sul mouse e inserire tessere nel lettore. Da sotto queste pensiline gialle, ha visto cambiare il mondo, ma non è cambiato il suo modo di prendere la vita, mai troppo sul serio e sempre col sorriso!