Nell’ultima fase glaciale del Pleistocene (cd. Wurmiana, calcolata dai geologi tra 24 e 17 mila anni fa) l’intera Val Belluna fu invasa da grandi masse di giaccio che, scorrendo lungo le valli del Piave e Cismon, avevano riempito anche il Feltrino fino alla quota di 1100 metri. Nel loro lento cammino i ghiacci asportavano quanto trovavano lungo il percorso, erodendo anche le rocce e giungendo così a modellare l’attuale paesaggio. La sommità del Monte Avena (1456 m) e le pendici immediatamente inferiori furono però risparmiate, permettendo così di preservare fino ai nostri giorni i sedimenti accumulatisi nei millenni in superficie e le antiche vestigia umane che vi erano celate.
Le campagne di scavo
A seguito dei primi ritrovamenti di manufatti paleolitici in un piccolo avvallamento adiacente la strada che conduce a Malga Campon – effettuati già negli anni 60 dal dott. Augusto Sartorelli e successivamente da altri appassionati archeologi locali (Carlo Mondini e Aldo Villabruna) dell’Associazione Amici del Museo di Belluno – furono intraprese dall’Università di Ferrara, sotto la guida del prof. Alberto Broglio, varie campagne di scavo che si svolsero nelle estati dal 1984 al 1986, cui si aggiunse nel 2016 una nuova campagna, realizzata sempre dall’Università di Ferrara in un’area contigua, per una superficie complessiva di circa 70 mq.
I rinvenimenti
Da queste ricerche, è emersa la presenza di una paretina di scaglia rossa, sepolta sotto 20 cm di terreno, ma che un tempo doveva essere affiorante, contenente dei noduli di selce, nei cui pressi erano evidenti i segni di un’attività estrattiva, con grossi blocchi sbozzati e scartati perché di scarsa qualità. Poco più distante sono state trovate le tracce di una vera e propria “officina” di lavorazione, in cui i nuclei di selce di miglior qualità venivano trasformati, mediante scheggiatura, in utensili necessari alle attività di sussistenza, venatorie e domestiche, che gli uomini del Paleolitico conducevano. L’approfondimento degli strati sedimentari ha permesso di individuare le tracce di gruppi di uomini appartenenti a tre diverse epoche e culture. Pochi ma significativi i manufatti, raccolti negli strati inferiori, risalenti al Paleolitico medio (Musteriano, più di 40 mila anni fa): furono prodotti dagli uomini di Neanderthal che probabilmente raggiunsero la sommità del Monte Avena – la quota più alta in cui sia stata finora riscontrata la loro presenza in Europa – durante le loro scorrerie di caccia, scoprendovi così il deposito di selce.
Molto più numerosi invece i reperti appartenenti alla cultura del Paleolitico Superiore (Aurigniaziano, dai 40 mila ai 30 mila anni fa). Questi strumenti furono realizzati dagli uomini di Cromagnon con una tecnica di scheggiatura più raffinata, in cui in cui i frammenti di selce venivano ritoccati più volte in modo da specializzarne il tipo di utilizzo: grattatoi, utili per la lavorazione delle pelli; bulini, atti ad incidere e tagliare; punte e lamelle con un margine leggermente smussato per l’inserimento di un manico. Ne sono stati raccolti ben undicimila, immersi nel loess, polvere di origine eolica accumulatesi nelle ultime fasi della glaciazione.
In un altro sito, nei pressi dell’area di scavo del Campon d’Avena, quasi in superficie, sono invece stati ritrovati manufatti prodotti circa 5.000 anni fa dagli uomini del Neolitico. Questi praticavano l’agricoltura e l’allevamento e costruivano vasi di terracotta. Alcuni frammenti raccolti fanno pensare alla presenza di accampamenti di allevatori che già in epoca protostorica sfruttavano gli ampi pascoli tuttora esistenti. L’intera area di scavo è oggi ricoperta, sia pur con alcune tabelle di segnalazione, ma una parte consistente dei reperti litici ritrovati è conservata presso il Museo Civico di Belluno e prossimamente altri saranno visibili anche al Museo Archeologico di Feltre.