Un fatto di sangue e soldi oscurato, perché gli assassini sono i vincitori. Lo racconta Roberto De Nart nel suo ultimo libro dal titolo “I soldi della Contessa” tratto dagli atti processuali del 1950 della Corte d’assise di Belluno. «Un debito virtuale – spiega l’autore – nei confronti di una donna, alla quale venne negata ogni forma di giustizia oltre che condannata all’oblio».
Marta Kusch era conosciuta come “La Contessa” per la sua relazione sentimentale con conte Marco Ottaviano Borgoncelli. Lui venne ucciso nell’autunno del 1944 per il suo passato di ufficiale delle SS italiane; lei alcuni mesi dopo, a Pedavena, a guerra oramai finita, il 5 maggio del 1945. Le testimonianze la descrivono come una bella donna, come infatti confermano le foto che la ritraggono, contenute nel fascicolo processuale depositato all’Archivio di Stato di Venezia.
Prima dell’uscita di questo libro, le uniche due fonti alle quali hanno attinto chi si è occupato di questa storia, erano gli articoli di cronaca giudiziaria, pubblicati dal quotidiano veneto “Il Gazzettino” negli anni 50 durante le fasi del processo, e un capitolo del libro “Utopia e realtà” di Silvio Guarnieri pubblicato nel 1955 dal titolo “Il processo della contessa”.
Dagli oltre 400 documenti esaminati dall’autore, con gli interrogatori dei carabinieri e dei magistrati, attraverso la voce di 32 testimoni, esce un profilo assolutamente pulito, senza macchia, di Marta Kusch, uccisa dai partigiani al solo scopo di impossessarsi dei soldi.
I soldi della Contessa, è questo il vero movente dell’omicidio. Ed erano molti i soldi nella disponibilità di questa donna manager dell’impresa Aices, che servivano a pagare gli operai che lavoravano per conto della Todt nel Feltrino. Quattro milioni è la cifra ufficiale che ricorre nei documenti. Ma è ciò che dicono gli imputati, nessun altro ha potuto verificare quanti soldi contenesse quella grande valigia di cartone custodita in una stanza dell’albergo Monte Avena di Croce d’Aune dove aveva preso alloggio Marta Kusch. Secondo l’ipotesi dell’autore, i soldi
sottratti alla Contessa furono molti di più, una cifra che si aggira sui 10 milioni di lire del 1945, pari a circa un milione di euro di oggi. Ma voce di popolo sussurra che i soldi erano ancora di più: una parte rimase nel Feltrino e la fetta più consistente transitò attraverso le banche in Venezuela.
Un omicidio premeditato a scopo di rapina, dunque, approfittando del vuoto di potere dei giorni immediatamente successivi alla Liberazione del 25 aprile 1945. Dove la guerra e la Resistenza diventano solo un alibi per garantirsi l’impunità.
“Come purtroppo spesse volte si è lamentato, la nobiltà della lotta partigiana è insozzata e avvilita da chi per denaro ha macchiato pagine di eroismo scritte col sangue e col sacrificio” scriverà al riguardo nel 1950 Nicola Parrella, procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia.
Un’accusa che si fermerà agli esecutori materiali senza nemmeno cercare il secondo livello di responsabilità. E una difesa facile che gioca la carta già vista al processo ai nazisti di Norimberga. “Abbiamo eseguito un ordine” sostengono gli imputati. Ma quell’ordine di soppressione, non c’era, né scritto né verbale. Marta Kusch venne uccisa senza un interrogatorio e senza un processo. Solo per chiuderle la bocca per sempre, perché se avesse potuto testimoniare avrebbe detto di esser stata depredata di tutto ciò che aveva dai partigiani. Sul caso calerà poi l’ingiustizia di Stato della cosiddetta “Amnistia Togliatti”, strumentalmente applicata, poiché quell’omicidio, con la guerra, non aveva nulla a che fare. Un processo, insomma, tutto da rifare, secondo l’autore.