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Rifugio Boz

ultima stagione per Ginetta e Daniele

Rifugio Boz

ultima stagione per Ginetta e Daniele

Dopo quasi 40 anni è arrivato il momento di lasciare, di passare la mano, di pensare forse anche ad una nuova vita, se mai ne saranno capaci. È arrivato il momento per Daniele di chiudere la porta del rifugio con il pensiero che non sarà più lui a riaprirla la prossima estate. E Ginetta prima di chiudere la cucina, con un groppo alla gola, avrà dato un ultimo sguardo a quel pezzetto di cielo e cime che è stata la sua finestra sul mondo per tante estati.

Se gestisci un rifugio come il Boz per 40 anni, anche solo per tre-quattro mesi all’anno in quel paradiso di Neva, diventi carne e sangue di quella terra. Sono gli uomini e le donne che rendono le terre vive e care, i luoghi ci parlano per gli uomini e le donne che ci vivono, per le memorie di coloro che ci hanno vissuto. Ritorneremo in Neva e tutto ci parlerà di loro: gli abeti, i larici, le rocce del Sass de Mura, le pietre del rifugio racconteranno di quei due giovani che un’estate arrivarono in Neva pieni di entusiasmo e se ne andarono in autunno un po’ ingobbiti e con le rughe, felici di aver vissuto il loro sogno.
In Neva, Daniele e Ginetta si sono conosciuti e amati, il destino ha voluto che quel luogo diventasse il legame della loro vita, forse la loro stessa vita, di certo è stato la loro casa e un po’ anche la nostra. Per assaporare l’atmosfera che accoglieva i visitatori del Boz, rimandiamo a un interessante reportage di Teddy Soppelsa dal titolo “Chiudi in macchina lo stress e cammina” scritto nel luglio 2018 e ancora visibile su www.altitudini.it. Eccone alcuni stralci:

CHIUDI IN MACCHINA LO STRESS E CAMMINA
« È stata la passione per la montagna e l’entusiasmo giovanile che ci ha fatto scegliere questa vita» dice Daniele. «Io e Ginetta ci siamo conosciuti proprio qui al rifugio, verso la fine degli anni 70, abbiamo lascito entrambi il mitico posto fisso per fare questo lavoro. La nostra residenza è a Feltre dove ritorniamo a riposare dopo la stagione qui in rifugio, però in effetti la nostra casa è questa qui… In tanti anni abbiamo instaurato un rapporto di amicizia con le persone…». Daniele si blocca, ha un groppo in gola e gli occhi lucidi, allora interviene Ginetta. «Lo so, su questa cosa qui Daniele si commuove. Eravamo giovanissimi e tutti i parenti erano contro la nostra scelta di vita. I primi anni sono stati difficili: l’illuminazione era a gas, l’acqua spesso non arrivava e non c’era la teleferica, il menù era limitato e anche i servizi, sempre con una sincera ospitalità, come fossimo una sola famiglia. Avevamo tanto entusiasmo e molto più tempo per noi. Oggi invece è difficile trovare un momento per noi. Qui siamo 24 ore su 24 senza un momento di privacy, sempre a disposizione delle persone che entrano e anche quando andiamo a dormire la camera la condividiamo con i nostri collaboratori con i quali c’è sempre stato un rapporto di amicizia, prima che di lavoro».
L’autenticità di un rifugio si mantiene anche rinunciando a qualcosa di non strettamente necessario, sottraendo più che aggiungendo, magari con il soccorso di leggi che tutelano il valore ambientale dei luoghi. Proprio quello che mi dice Daniele: «Dopo la rottura della teleferica, invece di sostituirla, alcuni dirigenti del Cai stavano progettando di far proseguire fin qui la strada che arriva a casera Nèva di Mezzo. La strada però avrebbe dovuto fermarsi fino al confine con la provincia di Trento, ad un centinaio di metri dal rifugio, qui siamo dentro il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi e l’Ente non avrebbe mai autorizzato l’apertura di una strada, anche se per un breve tratto. E allora avrei dovuto trasportare a mano, per gli ultimi cento metri, i viveri e i materiali per il rifugio. Non ne valeva la pena e così è stata ripristinata la teleferica».

Penso anch’io che questa sia stata la scelta giusta, così le auto rimangono ben lontane dal rifugio, nessuno può ottenere speciali permessi di transito e anche il motto di Daniele “Chiudi in macchina lo stress e cammina” ha più sapore. Prima di scendere a valle chiedo a Daniele e Ginetta di dirmi i motivi del successo del loro rifugio? «Siamo partiti con nulla e negli anni abbiamo cercato di dare il meglio di noi. Ma il successo non è solo merito nostro, va diviso con il Cai Feltre e il Parco, senza dimenticare i tanti amici che ci aiutano a creare un ambiente gradevole e famigliare e anche quest’anno ci siamo scaldati con la legna che hanno tagliato per noi».

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