Dove sono finite le lenzuola appese alle balconate con la scritta “andrà tutto bene”? Perché sono state ripiegate le bandiere tricolori che sventolavano dalle terrazze italiane in quella timida primavera? Dove sono finiti i concertini dalle mille voci e dai tanti strumenti suonati ad inneggiare un senso di appartenenza… colonna sonora di una tenace resilienza al male che non si vede ma che tanta morte ha portato. Cos’è cambiato dalla primavera all’autunno di quest’anno? Non è cambiato nulla, ed è proprio per questo che nessuno ha più la voglia di appendere arcobaleni colorati con la speranza che tutto avrebbe avuto un lieto fine, nessuno ha più la voglia di intonare canti festosi e suonare accordi dalle facili melodie ad invocare la fine dell’incubo. Anche il ritrovato spirito patriottico italiano della scorsa primavera non ha più toccato i sentimenti di quest’Italia autunnale che invece, al sole di marzo ed aprile, riscopriva un inaspettato e nuovo “Risorgimento” fatto di idee, sentimenti e spirito di sacrificio. Ognuno di noi portava nel cuore la certezza e la genuina responsabilità che il sacrificio sarebbe valso non solo per noi stessi, ma per le rispettive famiglie, per la comunità, per la nazione, forti di quel dire che poi, quando tutto sarebbe finito, saremmo ripartiti più forti di prima. Al rientro nel “tunnel virale” che ci ha fagocitati con una violenza e velocità lontana da ogni più severa previsione, la verità si è palesata in tutta la sua crudeltà, ci siamo resi conto che le promesse che ci avevano fatte sono state vane, perché ai tanti sacrifici vissuti da milioni di partite iva, di artigiani, commercianti, lavoratori del pubblico impiego, delle morti dei nostri anziani e non per ultimi, i sacrifici dei nostri giovani, non è stato corrisposto un altrettanto sacrificio politico da parte di chi ci aveva promesso che saremmo ripartiti più forti di prima. Ecco perché non abbiamo più la voglia di prendere colori e pennello e colorare lenzuola, ecco perché preferiamo cantare da soli nella nostra stanza e non più dalle terrazze di mezza Italia, ecco perché purtroppo è venuto meno il sentimento di comunità, dove lo scopo di resistere era, non solo il bene personale o della stretta cerchia familiare, bensì rivolto ad uno spettro più ampio, quello comunitario, arrivando all’obiettivo nazionale ed europeo. Allora si suonava e cantava stretti in un abbraccio virtuale, oggi c’è chi scende in piazza armato di rabbia e scoramento, non ci possiamo permettere il lusso di sognare, allora qualcuno ne approfitta e imbraccia bastoni e molotov, sanpietrini e mazze. Non ha valore se a farlo sia una sparuta minoranza, non ha valore che si dica che nulla c’entrano con le categorie colpite da questa mezza serrata, rappresenta comunque una parte di società e purtroppo lo fa con la cattiveria e volgarità che mai dovrebbe essere usata per palesare un disagio, anche il peggiore. I tempi che viviamo sono tempi difficili perché il virus uccide due volte: uccide il corpo e ferisce a morte il sentimento di speranza, tradisce il valore prospettico di un futuro migliore, di un domani libero da vizi mentali che ci stanno bloccando nelle paludi del più tetro campo di battaglia, nel mezzo di una guerra che non conosciamo e che mai avremmo voluto combattere. E da qui si deve ripartire… nella piena fiducia di un futuro migliore a patto che ognuno di noi combatta questa guerra di posizione con le armi che la scienza ci ha dato, povere armi, ma se ben usate davvero letali per sconfiggere il nemico che ci prende alle spalle, che non si fa vedere ma ahimè si fa sentire. A noi soldati ancora una volta ci viene chiesto lo spirito di sacrificio, e a voi generali che dovete governare sugli eventi, viene pretesa la lungimiranza di una prospettiva politico-amministrativa che provveda al bene del popolo, solo a questo. Invochiamo e pretendiamo la sincerità con la quale ogni comandante ha il dovere di rapportarsi con i propri soldati. Aver sostenuto nella prima fase che saremmo ripartiti più forti di prima, è stato sicuramente un azzardo. Un consiglio, aspettate a formulare agli italiani gli auguri di un sereno Natale, e non dite che i sacrifici del mese di ottobre sono serviti a farci trascorrere un lieto Natale. Un Natale normale lo chiediamo noi soldati come regalo a Gesù Bambino, certi che almeno lui ci saprà ascoltare e, se così sarà, abbiate la decenza di non prendervi il merito.
di Francesco De Bastiani
Ri-partire dai ragazzi.
Pochi, matti, pensanti, osanti.
Dal 22 di febbraio al 9 di giugno 2020 la Comunità di Villa San Francesco in Facen di Pedavena ha chiuso il cancello; la pandemia con le sue ragioni fino al 9 di giugno c.a. non ha concesso entrate in Comunità e nemmeno uscite.
Non vi era che l’oratorio dedicato al patrono San Francesco Saverio per ricevere qualche persona che aveva bisogno di parlare, ascoltare, chiedere, anche piangere, pure gioire, anche ora è così.
Vi era e vi è il Santissimo che ascoltava, capiva, orientava, mediava, soccorreva, trasformava, benediva, ovviamente con la voce del silenzio, una meraviglia.
E alle 20:45 la preghiera del vespro comunitario, vissuto da ragazzi e giovani con storie di vita differenti, anche capacità limitate, con il cuore significativo.
E tutte le sere con la memoria e la richiesta di aiuto a Gesù e Maria, il ricordo a persone amiche malate, a chi nel mondo lascia la vita, un incoraggiamento e una carezza a chi pareva a noi avesse smarrito un poco la speranza, insomma una richiesta di intercessione da mettere sul tavolo del pane domestico, quello Eucaristico prima di tutto, il primo grande altare del mondo ogni giorno.
E ora siamo giunti a ottobre, è arrivata Fratelli Tutti – Lettera Enciclica del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale.
Continuiamo a coltivare un sogno, seppure modesto, il sogno che fossero generate in ogni piazza, via, strada, palazzi, alcune chiese familiari profumate di intimità, segnate da passioni intense, dove tornare anche a sorseggiare quel mosto dei primi cristiani che li rendeva contenti e poi da lì ritornare festanti, quando sarà, nelle chiese oggi oramai vuote, poco frequentate, con i ragazzi quasi spariti.
Occorre chiamarli per nome i ragazzi, occorre convocarli con esempi di vite personali di uomini interi, adulti imperfetti certo, ma sempre adulti, pronti a vivere in cooperativa con la stessa intensità di amore e di fede, il bisogno del sacro, che è storia senza scadenza, perché è storia eterna.
Nuovi pellegrini allora, anche viandanti lungo la bretella di bene che vi è in ogni strada, in ogni cuore nel mondo.
In tanti anni fin dal 1980 e a seguire in 7 anni alla Casa Emmaus (2009-2015) abbiamo dato vita a 110 incontri (…) pur segnati dai nostri limiti che troviamo spesso impastati dalle nostre fatiche, dalle nostre povertà umane, ponendo comunque lo sguardo al futuro, decisi a vivere una piccola parte come ultimi, in un tentativo molto più grande di noi, per tornare a mostrare al mondo un volto del cristianesimo completamente diverso, capace di risultare nello stesso tempo antico e moderno.
Quello del – gettare le reti-, quello delle domande notturne di Nicodemo, quello delle canne da pesca necessarie oggi, quel gettare l’amo soltanto ed attendere una pesca già amata e necessaria ancora più miracolosa, più faticosa, quella del a Tu per tu con i ragazzi e i giovani in ogni angolo di mondo, spesa in particolare nell’accompagnamento familiare, umano, spirituale, comunitario, ecclesiale, del governo del bene comune, quella dei pochi, matti, pensanti, osanti, i giovani, prima di tutto, chiamati ad incrociare i pari per divenire per primi il sale della terra per la fame di bene e di senso nel mondo.
Questo non tocca a noi, noi non ne siamo capaci. Desideriamo solo essere destinatari di questo meraviglioso volto della Provvidenza, da disegnare nella ricchezza delle differenze da chi ne ha la competenza, la capacità, la responsabilità, la passione, quello spendersi per coltivare i sogni.
Noi in Comunità con i nostri limiti, le nostre fatiche, sostenute solo dal bisogno di amore e di ricerca di senso che sentiamo palpitare tutti i giorni, abbiamo solo provato a vivere questo, nulla di più, pregando la Luce che ci sia luce, ovviamente non solo per noi, gettando un seme nel nostro cuore, anche nella terra della nostra Comunità, nelle 199 terre di ogni Paese del mondo e che noi conserviamo al Museo dei Sogni, della Memoria, della Coscienza, dei Presepi presso l’Arcobaleno ’86 a Feltre.
Chiediamo la carità di una parola, di un giudizio, di un ammonimento, di un incoraggiamento, di una correzione, anche di un invito a lasciar perdere.