Il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, riconosciuto dal nostro codice civile, è argomento spesso dibattuto nelle aule di giustizia. Quando cessa davvero l’obbligo del genitore di mantenere i figli? E cosa si intende per autosufficienza economica? Tali questioni hanno particolare rilievo nell’ambito delle separazioni tra i coniugi, soprattutto se altamente conflittuali, in cui il giudice è chiamato a valutare la sussistenza o meno dei parametri che giustificano il riconoscimento dell’assegno di mantenimento. Di recente la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sull’argomento, riconoscendo un principio importante in tema dei diritti dei figli nelle cause di separazione.
Il caso è quello di un padre, obbligato dal Tribunale a versare al figlio maggiorenne un assegno mensile di 300 euro. Trovandosi in grave difficoltà economica a seguito della separazione, impugna la sentenza di primo grado, mettendo in discussione il dovere di contribuire al mantenimento e la Corte d’Appello di Firenze accoglie le sue richieste, revocando l’assegno da lui versato a favore del figlio ultratrentenne, insegnante di musica precario. La madre propone ricorso per Cassazione, sostenendo che l’obbligo di mantenere il figlio non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi non abbia raggiunto la piena indipendenza economica; osserva che il figlio ha ottenuto soltanto dei contratti a tempo determinato e non ha potuto conseguire un’appropriata collocazione lavorativa, adeguata alle sue aspirazioni e alla sua professionalità.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e, con l’ordinanza n.17183/2020, offre spunti innovativi rispetto un orientamento già consolidato: i figli maggiorenni, ultimato il percorso formativo di studio, hanno il dovere di ricercare un lavoro che li renda autonomi, anche se non perfettamente conforme alle loro aspirazioni, poiché l’assegno di mantenimento versato dai genitori ha una funzione educativa e non può rappresentare un’assicurazione dalla durata illimitata. L’ordinanza contiene un forte invito al passaggio dal principio del “diritto ad ogni possibile diritto” al principio di “auto-responsabilità” dei figli adulti: in questa prospettiva, è il richiedente l’assegno a dover provare la non indipendenza economica. Pertanto, trascorso un certo lasso di tempo dopo il conseguimento di un titolo di studio, non può più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto, posto che l’attitudine al lavoro sussiste sempre dopo una certa età, che è quella tipica della conclusione media di un percorso di studio, purché proficuamente perseguito.
È davvero una sentenza che si addentra in aspetti relazionali importanti, riscrive l’orientamento in vigore e traccia confini diversi sia rispetto i rapporti tra genitori che tra genitori e figli. Interpreta un bisogno relazionale e sociale fondamentale perché restituisce responsabilità e capacità ai figli sostenendo che il diritto del figlio al mantenimento non può ritenersi incondizionato, ma ha un limite che è normalmente desumibile dalla durata ufficiale degli studi e dal tempo mediamente occorrente a un laureato per il reperimento di un impiego. È anche un argine autorevole alla frammentazione sempre più evidente nella vita sociale attuale, che Baumann paragona ad uno stato liquido che si rimodella continuamente e in modo artificiale, a differenza di quella precedente che descrive invece come uno stato solido perché caratterizzata da costruzioni sociali solide.
Questa dimensione liquida, incerta, mobile e fluttuante, sostiene questo sociologo, ha originato l’incertezza che attanaglia la società moderna, dove nulla ha più contorni nitidi, definiti, fissati e fa sì che tutto – comprese le relazioni umane sempre più fragili e precarie – sia divenuto merce di scambio focalizzata sul consumo e possesso piuttosto che sul valore. Questa norma specifica un importante principio guida che dà valore e significato all’identità delle persone poiché, ribadendo il principio dell’auto-responsabilità, riconosce pienamente il diritto dei figli ad essere sostenuti economicamente dai genitori a realizzare i progetti di studio superiore ma, contemporaneamente, considera ci debba essere un limite a questo dovere genitoriale.
È infine importante anche per i professionisti che intervengono nel processo separativo perché orienta e favorisce la comunicazione, oltre che chiarire i limiti dei nostri interventi. Rafforza e sostiene due principi fondamentali della mediazione familiare: la funzione di accompagnamento, sostegno e aiuto ai genitori affinché, anche se separati, continuino ad esercitare il loro compito, condividendo la responsabilità della crescita ed educazione dei figli; il diritto all’autodeterminazione e autoregolazione della riorganizzazione familiare decidendo insieme come sostenere e concretizzare i propri bisogni e quelli evolutivi dei figli, garantendo a tutti la continuità dei legami familiari.
Ha colto nel segno. Il principio di responsabilità genitoriale, che intende dare tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento della prole, ha una valenza proprio se correlato al principio di auto responsabilità, cui sono chiamati i figli. In questo senso, il ruolo del genitore deve essere finalizzato a promuovere il benessere dei figli, cioè a formare la loro identità personale, trasmettendo quei valori educativi che consentono il raggiungimento dell’autonomia. Anche dalla lettura della sentenza traspare questo monito, di cui i genitori sono diretti destinatari: il loro compito è infondere il senso del dovere e dell’impegno, nonostante l’evento separativo, che non può far venire meno il ruolo educativo di genitore.
Il caso tuttavia ci impone una riflessione: la madre, che difende il diritto del figlio ad essere mantenuto, lo fa per il figlio o spinta dalla volontà di creare contrasto in un perdurante e irrisolto conflitto con l’ex-marito? Le diatribe sul mantenimento spesso celano ferite più profonde, che forse si dovrebbero risanare fuori dal contesto giudiziario.
Da oltre un lustro, incontro coppie e genitori in momenti diversi della vita familiare: quando decidono di avere un figlio, mentre lo accompagnano a diventare grande attraversati da dubbi, incertezze e timori, di non fare abbastanza o di non sentirsi all’altezza.
Crescere ed educare un figlio è un continuo vivere tra emozioni e concretezza, tra vincoli e legami, alcuni dei quali riconoscibili nel presente, altri che irrompono dal passato e, quando la coppia si separa, la scelta sconquassa la stabilità, anche se la rottura di una famiglia non significa necessariamente solo disgrazie. A questa trasformazione si può sopravvivere perché una crisi esistenziale ben superata può aiutare a crescere e a diventare migliori.
Se invece gli adulti – ed è sempre rischioso individuare i cattivi e i buoni in queste vicende- non sanno distinguere il loro essere genitore con il vissuto legato al partner, la disgregazione familiare investe i figli che subiscono idee, decisioni a cui aderiscono in nome di un amore immaturo, cieco e inconsapevole.
Quando ciò accade i figli diventano oggetti, proiettili impazziti che vagano tra le case. Indipendentemente dall’età spesso restano irretiti, rinunciando a se stessi e alla propria vita. Solo se i genitori riprendono contatto tra loro, riconoscendo difficoltà, paure e frustrazioni, i figli possono, spesso faticosamente, tornare a guardare se stessi e il futuro con i propri occhi.