Lunedì 21 settembre si è decretato il risultato popolare del referendum sul taglio dei parlamentari da 945 a 600, di cui 400 alla Camera e 200 al Senato. Il giorno dopo i bellunesi si sono svegliati con una strana sensazione: l’equinozio d’autunno si stava portando via la calda estate e la rappresentanza bellunese in parlamento a Roma. Una buona parte di cittadini, per la cronaca, si era espresso con il “no” alle urne (43,85%), percentuale più alta a Belluno che nel resto del Veneto: forse un grido d’allarme contro il rischio concreto che i territori periferici di montagna, come la nostra provincia, già debolmente presenti nei processi decisionali, perdano altro peso specifico, con la probabile riduzione della pattuglia parlamentare e l’assenza di correttivi per riequilibrare il potere disponibile localmente per i cittadini. Un segnale in controtendenza rispetto al Paese o altre aree simili di montagna, dove invece i sì al taglio dei parlamentari ha ottenuto risultati diametralmente opposti.
AUTONOMIA?
Dopo questo verdetto elettorale facciamo il punto: accanto all’inascoltata richiesta ultradecennale di ottenere una forma di autonomia istituzionale amministrativa, i bellunesi, o parte di essi, vivranno ora la frustrazione di assistere dalla prossima legislatura alla perdita di voce nella lontana Roma, dopo averne persa anche nella più vicina ma politicamente molto distante Venezia. Eppure la Regione sei anni fa ha legiferato prevedendo di trasferire una serie di competenze amministrative di rilievo alla provincia di Belluno, sancendo una sorta di autonomia chiamata “specificità” (legge 25/2014); ma quel processo, è inchiodato tra le “gondole” in Canal Grande, evidentemente non molto gradito a Venezia. Poi, nell’ottobre 2017, sono stati votati due referendum sull’autonomia: quello voluto e vinto dal presidente veneto Zaia e quello voluto e stravinto dai bellunesi per un’autonomia speciale della provincia di montagna nel quadro dell’autonomia veneta.
SPOPOLAMENTO
Intanto nel Bellunese continua lo spopolamento delle vallate più settentrionali. Calo demografico e popolazione che abbandona la montagna lasciano percentuali impietose di sopravvivenza: la provincia di Belluno rappresenta il 20% del territorio regionale, ma ospita un misero 4% di popolazione, toccando densità minime come a Ospitale di Cadore dove l’indice demografico segna 7 ab/km2. Da Venezia e da Roma non arriva nessuna indicazione di voler risolvere strutturalmente la questione mediante forme concrete di federalismo e di autonomia su scala provinciale. Non bastano gli interventi spot delle Olimpiadi 2026 e dei fondi per la ricostruzione del dopo Vaia per risolvere i problemi di Belluno.
TRENTO E BOLZANO
Un altro colpo alla rappresentanza cui ora si aggiunge quello del referendum che, per costituzione, rimarca uno squilibrio ancora più accentuato nel confronto con le province di Trento e Bolzano, assegnando a quest’ultime una rappresentanza in Senato di tre parlamentari a testa. Ecco perché in provincia di Bolzano il sì ha vinto con l’80%. L’appello ora lo lanciamo ai rappresentanti bellunesi in consiglio regionale Gianpaolo Bottacin e Silvia Cestaro: l’autonomia della provincia di Belluno è una strada di non ritorno.