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Quando non c’è il lieto fine…

Un vortice senza esito che coinvolge anche i figli

Quando non c’è il lieto fine…

Un vortice senza esito che coinvolge anche i figli

Gentile dottoressa, ieri mi ha telefonato una signora che sto seguendo nella causa di divorzio, arrabbiata e delusa dopo aver litigato di nuovo con l’ex marito. Laura mi racconta che, da quando ha deciso di bloccare il numero di Paolo, stanca di ricevere le sue chiamate, lui non perde occasione per discutere davanti alle figlie, cercando in loro un alleato nella sua battaglia. Riportandole a casa dopo il week-end, si è lamentato ancora una volta dei pantaloni sgualciti e delle magliette bucate.

«Per cosa li usi tutti i soldi che ti do? Ho dovuto comprare dei completini nuovi, perché in valigia non c’era niente di decente. Non sono tenuto a spiegarti in anticipo dove intendo portarle e cosa farò con loro, ma pretendo che in valigia ci siano abiti adeguati, sportivi ed eleganti. Mi chiedo che fine faccia il mantenimento che ti passo per loro. Il mio avvocato ha detto che l’abbigliamento rientra nelle spese ordinarie e non sono tenuto a pagarlo io. Perciò tieni, questo è lo scontrino di quello che ho speso e lo scalerò dalla prossima rata».

Laura si sfoga con me, raccontandomi la sua frustrazione. Lei non voleva arrivare a questo e non ha più la forza di proseguire la causa.In questi mesi ha lavorato poco e non ha ancora preso la cassa integrazione. I soldi di Paolo le bastano a malapena per pagare le utenze e i beni primari per le bambine.

Lui – continua Laura – «è riuscito a vendere la casa familiare e ha incassato una bella somma e mi chiedo perché non posso avere la mia parte. Sono mesi che discutiamo e lui non intende cedere, fino a che il divorzio non sarà firmato. Faccio i salti mortali per lavorare e accudire le figlie e lui continua ad aggiungere scuse per non adempiere ai suoi impegni». Comprendo quando sia provata da questo incalzare dell’ex marito e mi domando come mai non sia possibile arrivare a una composizione del conflitto.

Quanto conosco questi racconti, avvocato. Densi di sofferenza, di amarezza e sconforto. Esprimono una rabbia sorda che non possiamo non sentire e alla quale bisogna trovare argini, emotivi e giuridici, capaci di contenere il conflitto, i rancori, le rivendicazioni e le divergenze che, quando dilagano, affondano completamente la possibilità di ricomporre la comunicazione tra gli adulti. Il tema del denaro, infatti, unisce e declina diritti, responsabilità e obblighi con affetti, storia, riconoscimento, condivisione genitoriale. Il denaro è un simbolo che riconosce e riporta la coppia al patto iniziale che l’ha generata, formata, sostenuta, caratterizzando la natura del progetto amoroso che ha originato. Questo perché lo scambio economico disegna il senso della promessa iniziale che si concretizza nel rapporto di fiducia reciproco.

Come ben sappiamo la gestione del denaro è una delle principali cause sia di disaccordo e, in giudizio, il terreno dove spesso si gioca l’ultima battaglia. Certo, i sentimenti non sono equiparabili al denaro né il denaro può quantificare i sentimenti perché è chiaro che non sono i soldi in sé, ma il modo di condividerli, a rappresentare qualcosa di fondamentale per la coppia. La storia di Laura e Paolo lo dimostra. Nonostante il decreto del giudice indichi chiaramente come gestire gli aspetti economici, l’ex-marito, semplicemente, si rifiuta di adempiere ai suoi obblighi e lo fa coinvolgendo direttamente anche le figlie.

Nella sua narrazione, avvocato, il percorso giuridico, che ha formalmente messo fine all’unione di coppia, sembra non sia bastato a ricomporre e compensare i vissuti emotivi che lo avevano originato. Sappiamo – e lo incontriamo spesso nei nostri studi – quanto la separazione, pur non essendo una patologia, si avvantaggerebbe se le persone integrassero il percorso giuridico con spazi di riflessione e aiuto specializzati e focalizzati dove poter ricomporre e dare senso ai vissuti sospesi e inconsapevoli che, trattenuti e nascosti, rischiano di generare azioni, comportamenti e agiti inconsapevoli e incontrollabili. Ho una domanda che è più una sollecitazione. Lei e il legale di Paolo come riuscite a combinarvi in questa vicenda?
La sua domanda mi consente di fare una digressione sul percorso della coppia, che io e il mio collega stiamo assistendo in questa difficile prova, evidenziando come la fine di una relazione costituisca – dal punto di vista sia esistenziale che giuridico – un quid unicum, generando esiti spesso imprevedibili. In questo caso, Laura e Paolo sono giunti alla separazione in un clima di consapevolezza e distensione, disposti a cedere reciprocamente per il bene delle figlie, specialmente sulle questioni economiche, normalmente fonte di maggior divergenza.

Nonostante avesse rinunciato a un’occupazione lavorativa per dedicarsi alle bambine, Laura non aveva preteso il mantenimento, mentre Paolo, formalmente unico proprietario della casa familiare, aveva acconsentito a liquidarle una parte del ricavato della futura vendita, riconoscendo gli sforzi economici che anche lei aveva sostenuto per la ristrutturazione. Solo in seguito sono riemerse le conflittualità non del tutto sopite, che hanno scoperchiato il vaso di Pandora, mettendo in discussione quelle stesse condizioni che tanto serenamente i coniugi erano giunti a sottoscrivere. Così, attesi i tempi minimi previsti per legge dall’omologa della separazione, Paolo si è rivolto a un altro legale determinato a procedere con il divorzio e avanzando varie pretese: la riduzione dell’assegno di mantenimento per le figlie, il ricalcolo delle spese affrontate nella ristrutturazione dell’immobile e minacciando persino un’indagine patrimoniale sui redditi ora percepiti dalla ex moglie.

Su alcune questioni, io e il legale di Paolo siamo riusciti a individuare una soluzione “temporanea” e condivisa suggerita dalle condizioni di separazione; su altre, vista la resistenza di entrambi, continua a giocarsi la battaglia, in attesa che giunga la pronuncia definitiva del giudice.

Ho letto e riletto la sua risposta. I discorsi rivendicativi tra Laura e Paolo mi hanno restituito dolore e tristezza, nonostante la durezza delle accuse che si stanno lanciando in questa fase. Questi signori sembrano aver facilmente individuato per sé e le figlie una buona soluzione separativa, mostrandosi prontamente disponibili a rinunciare a qualcosa di sé nonostante, come ha osservato anche lei, questa facilità non corrispondesse ai bisogni emotivi e ai sentimenti rispetto la fine dell’unione. Separarsi non è nei progetti né degli uomini né delle donne e, quando accade, non ci sono mai né vincitori né vinti. Tutti perdono qualcosa di sé per aprirsi, in pace, verso altre esperienze in cui è indispensabile che ci sia una sorta di equilibrio emotivo tra ciò che uno pensa di aver dato e ricevuto. In questa storia non è accaduto e ora stanno trascinando in questo vortice anche le figlie. Ho alcune domande e sono le stesse che stanno vi state ponendo voi: Laura e Paolo si sono davvero separati emotivamente? Cosa è accaduto per cui Paolo ha disatteso il patto separativo? Come mai entrambi affidano alla giustizia la conclusione definitiva della contesa? Cosa sarà del loro essere genitori?

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