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Pellegai e Samprogno

piccole storie di campagna

Pellegai e Samprogno

piccole storie di campagna

O campana del mio villaggio, dolente nel quieto meriggio
Ogni rintocco tuo mi echeggia dentro l’anima…

(F. Pessoa)

Un campanile inconsueto, dipinto di un giallo caldo, si eleva solitario sul crinale di una collina morenica. Come un faro su uno scoglio, sembra indicare la strada del ritorno agli abitanti della piccola comunità di Pellegai e Samprogno. Questa curiosa torre campanaria – al campanil ma el – offre lo spunto per descrivere, in modo sintetico, le caratteristiche del paesaggio di questo angolo di Borgo Valbelluna. Un paesaggio modellato da antichi ghiacciai e poi trasformato in paesaggio umano dall’operosità e dall’attaccamento alla terra di generazioni di contadini.
UN AMBIENTE PLASMATO DAI GHIACCIAI
(a) Una collina di origine glaciale (collina morenica di S. Martino) che si allunga da Samprogno fino a sfumare nella piccola contrada rurale di Frende, sospesa sul ciglio della profonda valle del torrente Ardo; (b) ampi ripiani terrazzati (terrazzi di margine glaciale) che profilano a gradinata i morbidi declivi a valle di Pellegai – Samprogno (e anche di Carve); (c) una conca prativa annidata tra la collina di S. Martino e il pendio prealpino, occupata nel lontano passato da un piccolo lago di cui rimane traccia in un lembo residuale di torbiera/canneto (paluch). Sono queste le tessere naturali, retaggio dell’era glaciale, che compongono il paesaggio geomorfologico di questo luogo.
I due schemi semplificati di seguito aiutano a capire l’origine di queste forme glaciali, formatesi nelle fasi di ritiro del grande ghiacciaio del Piave fra i 18 ed i 15 mila anni fa.
L’IMPRONTA DELLA STORIA
Pellegai è un paesino a sviluppo lineare che si allunga ai lati della strada seguendo le linee di livello, con un nucleo antico raccolto attorno alla chiesetta di S. Lorenzo (XVI sec). Samprogno ha una struttura più compatta, un grappolo di case strette attorno alla chiesetta-oratorio dei SS. Vittore e Corona (XVI sec), disposte a formare dei cortili chiusi (corti rustiche, a volte con portico d’ingresso). Numerose in entrambi i villaggi sono ancora le case rurali in pietra, costruite con conci e lastre di arenaria (arenarie del Flysch) e qualche grosso ciottolo morenico (calcari, dolomie, vulcaniti). L’origine agricola dei due insediamenti è suggerita dalla loro localizzazione lungo la linea di contatto tra pendio e ripiano, ai margini dei terrazzi, riservati per i coltivi (prati da foraggio e seminativi).

Il popolamento di questi ambienti, con la formazione dei primi nuclei rurali attirati dai vasti ripiani terrazzati facilmente coltivabili, risale forse all’epoca romana, come suggerirebbero alcuni nomi di luogo. Pellegai, ad esempio, toponimo fondiario latino che significa “terreno/podere di Paelicus o Paelius“ (da Pelleg-ani = terreno di Paelicus a Pellegani > Pellegain > Pellegai secondo la ricostruzione del prof. G.B. Pellegrini), o il vicino villaggio di Samprogno, dal nome latino Sempronius. Questi primi insediamenti andarono verosimilmente incontro a un inesorabile declino e forse all’abbandono durante i secoli critici delle invasioni/incursioni barbariche (Ostrogoti, Unni, Longobardi, Bizantini).
Solo a partire dal basso Medioevo (dopo l’anno Mille), con il ripopolamento delle zone rurali e la ripresa dell’attività agricola, si consolidano gli insediamenti rurali in semi-abbandono e comincia a delinearsi un tessuto insediativo stabile. Il legame “sacrale” con la terra e il profondo sentimento religioso che anima le comunità contadine, indigenti e poverissime, trovano la loro espressione simbolica nella costruzione di chiesette rurali, che cominciano a diffondersi nei villaggi e nelle campagne bellunesi (e che spesso custodiscono al loro interno piccoli tesori d’arte).

In questa atmosfera di fervore religioso vengono edificate anche le chiesette di Pellegai e Samprogno, cappelle satelliti della Pieve di Mel. La più antica risulta essere, sulla base della documentazione esistente (M. Curti, S. Bevilacqua, 2016), la chiesetta di S. Martino (citata in modo indiretto in un documento del XIV sec. e ricostruita/ampliata nel XVII sec.), situata in una posizione incantevole alla base di una collinetta morenica, ai margini di una conca prativa umida (paluch), un po’ discosta dal villaggio di Pellegai. Il campanile solitario verrà costruito sul crinale della collina alla fine del Settecento. Più recenti (citate a partire dal XVI sec) sono le due chiesette di Samprogno dedicate ai SS. Vittore e Corona e alla SS. Trinità e anche la chiesetta di S. Lorenzo nel centro antico di Pellegai (M. Curti, S. Bevilacqua, 2016).

A partire dal Cinquecento il paesaggio agrario delle campagne bellunesi si arricchisce delle nuove colture importate dall’America (fagioli, mais, patate). Migliora l’alimentazione delle famiglie contadine e nelle case rurali compare un nuovo elemento strutturale – il piol (ballatoio) – funzionale alla maturazione del mais e all’essicazione dei fagioli. La relativa stabilità garantita dalla Repubblica di Venezia e le nuove colture ridanno nuovo impulso alle attività agricole, in parte compromesso da una grave crisi agraria (impoverimento delle campagne in seguito alla guerra delle potenze europee contro Venezia e a una sequenza di carestie legate ad avversità climatiche). Anche nelle campagne zumellesi, come nel resto del Bellunese, le comunità contadine di villaggio si organizzano in comitati rurali (Regola di Pellegai) per la gestione solidaristica e democratica dei beni collettivi (boschi, pascoli).

Un tratto distintivo di questi luoghi, in dissonanza con la quasi totalità degli ambienti collinari della Val Belluna, è l’assenza di ville padronali. Quelle ville-aziende che si diffondono nelle campagne bellunesi a partire dal XVI – XVII secolo e che diventano il simbolo del nuovo ordine fondiario, basato sulla grande proprietà terriera (nobili e ricchi borghesi cittadini) e sullo sfruttamento del lavoro mezzadrile (contadini coloni)

Per molti secoli – dal basso Medioevo fino agli anni 50 del Novecento – il lavoro agricolo, sia esso a conduzione familiare o di tipo colonico/mezzadrile, ha rappresentato il cardine delle povere economie di sussistenza di queste campagne. Colture foraggere (prati stabili), seminativi (mais, fagioli, frumento, patate), prodotti orticoli e gli irrinunciabili filari di vite per la produzione del vin clinto, abbinati all’allevamento bovino in piccole stalle affiancate all’abitazione rurale, hanno costituito i tasselli di un ciclo economico sostanzialmente chiuso, centrato sull’autoconsumo, fortemente dipendente dalle condizioni climatiche, non sempre in grado di soddisfare i bisogni minimi. Solo la via dell’emigrazione, con costi umani e sociali altissimi, riuscirà a mitigare anche in questi villaggi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, l’indigenza cronica delle famiglie contadine.

Negli ultimi decenni il rinnovamento edilizio, spesso finanziato con i sacrifici del lavoro all’estero, ha cambiato un po’ il volto dei due paesini, senza però snaturarne l’identità rurale. E anche la campagna – non più “sacra” come un tempo – continua a essere curata e coltivata (prati sfalciati, campi di mais), senza gli eccessi dell’agricoltura commerciale intensiva. Gli stili e i ritmi di vita sono radicalmente cambiati anche in questi paesini appartati, eppure sembra essersi conservata quella sensibilità contadina nella cura della casa, delle chiesette, del paese e della campagna che ha consentito a questi luoghi di conservare la memoria del tempo e un’anima intimamente contadina.

1 – La formazione della collina morenica di S. Martino e del laghetto glaciale
Durante una sosta prolungata del margine glaciale (nelle fasi di deglaciazione) i materiali detritici sospinti dal ghiacciaio (effetto bulldozer) si accumulano lungo il bordo, a formare un cordone morenico allungato (morena di sponda). La conca confinata tra l’argine morenico e il pendio prealpino (strada di Pontera) viene occupata da un laghetto di margine glaciale, alimentato da un piccolo corso d’acqua che scende dai versanti prealpini deglacializzati.

2 – La formazione dei terrazzi di margine glaciale
I terrazzi di margine glaciale – chiamati anche terrazzi di contatto glaciale o terrazzi di kame – sono il risultato dell’accumulo, a ridosso del margine laterale del ghiacciaio, di materiali morenici rimobilizzati e deposti da torrenti glaciali (T. Ardo ?) che scorrono lungo il bordo del ghiacciaio per poi inabissarsi sotto la massa glaciale e continuare il loro percorso come torrenti subglaciali. Ogni terrazzo indica una sosta (più o meno prolungata) del margine del ghiacciaio in quella posizione, seguita da una fase di ritiro/regressione.

Un campanile inconsueto, dipinto di un giallo caldo, si eleva solitario sul crinale di una collina morenica. Come un faro su uno scoglio, sembra indicare la strada del ritorno agli abitanti della piccola comunità di Pellegai e Samprogno. Questa curiosa torre campanaria – al campanil ma el – offre lo spunto per descrivere, in modo sintetico, le caratteristiche del paesaggio di questo angolo di Borgo Valbelluna. Un paesaggio modellato da antichi ghiacciai e poi trasformato in paesaggio umano dall’operosità e dall’attaccamento alla terra di generazioni di contadini.

UN AMBIENTE PLASMATO DAI GHIACCIAI
(a) Una collina di origine glaciale (collina morenica di S. Martino) che si allunga da Samprogno fino a sfumare nella piccola contrada rurale di Frende, sospesa sul ciglio della profonda valle del torrente Ardo; (b) ampi ripiani terrazzati (terrazzi di margine glaciale) che profilano a gradinata i morbidi declivi a valle di Pellegai – Samprogno (e anche di Carve); (c) una conca prativa annidata tra la collina di S. Martino e il pendio prealpino, occupata nel lontano passato da un piccolo lago di cui rimane traccia in un lembo residuale di torbiera/canneto (paluch). Sono queste le tessere naturali, retaggio dell’era glaciale, che compongono il paesaggio geomorfologico di questo luogo.
I due schemi semplificati di seguito aiutano a capire l’origine di queste forme glaciali, formatesi nelle fasi di ritiro del grande ghiacciaio del Piave fra i 18 ed i 15 mila anni fa.

L’IMPRONTA DELLA STORIA
Pellegai è un paesino a sviluppo lineare che si allunga ai lati della strada seguendo le linee di livello, con un nucleo antico raccolto attorno alla chiesetta di S. Lorenzo (XVI sec). Samprogno ha una struttura più compatta, un grappolo di case strette attorno alla chiesetta-oratorio dei SS. Vittore e Corona (XVI sec), disposte a formare dei cortili chiusi (corti rustiche, a volte con portico d’ingresso). Numerose in entrambi i villaggi sono ancora le case rurali in pietra, costruite con conci e lastre di arenaria (arenarie del Flysch) e qualche grosso ciottolo morenico (calcari, dolomie, vulcaniti). L’origine agricola dei due insediamenti è suggerita dalla loro localizzazione lungo la linea di contatto tra pendio e ripiano, ai margini dei terrazzi, riservati per i coltivi (prati da foraggio e seminativi).

Il popolamento di questi ambienti, con la formazione dei primi nuclei rurali attirati dai vasti ripiani terrazzati facilmente coltivabili, risale forse all’epoca romana, come suggerirebbero alcuni nomi di luogo. Pellegai, ad esempio, toponimo fondiario latino che significa “terreno/podere di Paelicus o Paelius“ (da Pelleg-ani = terreno di Paelicus a Pellegani > Pellegain > Pellegai secondo la ricostruzione del prof. G.B. Pellegrini), o il vicino villaggio di Samprogno, dal nome latino Sempronius. Questi primi insediamenti andarono verosimilmente incontro a un inesorabile declino e forse all’abbandono durante i secoli critici delle invasioni/incursioni barbariche (Ostrogoti, Unni, Longobardi, Bizantini).
Solo a partire dal basso Medioevo (dopo l’anno Mille), con il ripopolamento delle zone rurali e la ripresa dell’attività agricola, si consolidano gli insediamenti rurali in semi-abbandono e comincia a delinearsi un tessuto insediativo stabile. Il legame “sacrale” con la terra e il profondo sentimento religioso che anima le comunità contadine, indigenti e poverissime, trovano la loro espressione simbolica nella costruzione di chiesette rurali, che cominciano a diffondersi nei villaggi e nelle campagne bellunesi (e che spesso custodiscono al loro interno piccoli tesori d’arte).

In questa atmosfera di fervore religioso vengono edificate anche le chiesette di Pellegai e Samprogno, cappelle satelliti della Pieve di Mel. La più antica risulta essere, sulla base della documentazione esistente (M. Curti, S. Bevilacqua, 2016), la chiesetta di S. Martino (citata in modo indiretto in un documento del XIV sec. e ricostruita/ampliata nel XVII sec.), situata in una posizione incantevole alla base di una collinetta morenica, ai margini di una conca prativa umida (paluch), un po’ discosta dal villaggio di Pellegai. Il campanile solitario verrà costruito sul crinale della collina alla fine del Settecento. Più recenti (citate a partire dal XVI sec) sono le due chiesette di Samprogno dedicate ai SS. Vittore e Corona e alla SS. Trinità e anche la chiesetta di S. Lorenzo nel centro antico di Pellegai (M. Curti, S. Bevilacqua, 2016).

A partire dal Cinquecento il paesaggio agrario delle campagne bellunesi si arricchisce delle nuove colture importate dall’America (fagioli, mais, patate). Migliora l’alimentazione delle famiglie contadine e nelle case rurali compare un nuovo elemento strutturale – il piol (ballatoio) – funzionale alla maturazione del mais e all’essicazione dei fagioli. La relativa stabilità garantita dalla Repubblica di Venezia e le nuove colture ridanno nuovo impulso alle attività agricole, in parte compromesso da una grave crisi agraria (impoverimento delle campagne in seguito alla guerra delle potenze europee contro Venezia e a una sequenza di carestie legate ad avversità climatiche). Anche nelle campagne zumellesi, come nel resto del Bellunese, le comunità contadine di villaggio si organizzano in comitati rurali (Regola di Pellegai) per la gestione solidaristica e democratica dei beni collettivi (boschi, pascoli).

Un tratto distintivo di questi luoghi, in dissonanza con la quasi totalità degli ambienti collinari della Val Belluna, è l’assenza di ville padronali. Quelle ville-aziende che si diffondono nelle campagne bellunesi a partire dal XVI – XVII secolo e che diventano il simbolo del nuovo ordine fondiario, basato sulla grande proprietà terriera (nobili e ricchi borghesi cittadini) e sullo sfruttamento del lavoro mezzadrile (contadini coloni)

Per molti secoli – dal basso Medioevo fino agli anni 50 del Novecento – il lavoro agricolo, sia esso a conduzione familiare o di tipo colonico/mezzadrile, ha rappresentato il cardine delle povere economie di sussistenza di queste campagne. Colture foraggere (prati stabili), seminativi (mais, fagioli, frumento, patate), prodotti orticoli e gli irrinunciabili filari di vite per la produzione del vin clinto, abbinati all’allevamento bovino in piccole stalle affiancate all’abitazione rurale, hanno costituito i tasselli di un ciclo economico sostanzialmente chiuso, centrato sull’autoconsumo, fortemente dipendente dalle condizioni climatiche, non sempre in grado di soddisfare i bisogni minimi. Solo la via dell’emigrazione, con costi umani e sociali altissimi, riuscirà a mitigare anche in questi villaggi, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, l’indigenza cronica delle famiglie contadine.

Negli ultimi decenni il rinnovamento edilizio, spesso finanziato con i sacrifici del lavoro all’estero, ha cambiato un po’ il volto dei due paesini, senza però snaturarne l’identità rurale. E anche la campagna – non più “sacra” come un tempo – continua a essere curata e coltivata (prati sfalciati, campi di mais), senza gli eccessi dell’agricoltura commerciale intensiva. Gli stili e i ritmi di vita sono radicalmente cambiati anche in questi paesini appartati, eppure sembra essersi conservata quella sensibilità contadina nella cura della casa, delle chiesette, del paese e della campagna che ha consentito a questi luoghi di conservare la memoria del tempo e un’anima intimamente contadina.

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