Ventidue anni e una grande passione per la fotografia, di cui è artista ma anche modella. Martina Costa è anche appassionata di musica (in particolare della chitarra elettrica) e l’abbiamo vista portare il suo contributo a diversi eventi della Valbelluna, soprattutto per la Pro loco di Pedavena, oltre ad aver collaborato con “il Veses” per la pagina pedavenese. Ha gestito l’Infopoint in Pian d’Avena e nel 2019 ha rappresentato la nostra provincia al Giro d’Italia come hostess presso lo stand di Castelli.
Studia filosofia all’Università di Padova e sta per concludere la triennale: «Mi capita spesso che mi venga chiesto perché ho scelto questo indirizzo e io rispondo sempre che prima di tutto io studio molto per me stessa» spiega Martina. «Mi interesso di ciò che mi circonda e per spiegarlo meglio cito l’autore latino Terenzio: “Sono un essere umano. Nulla di ciò che ritengo essere umano è estraneo a me” per dire che lo studio è restituzione al mondo di sapere».
È lei stessa ad introdurre l’argomento centrale di questa intervista: «Non mi piace quando vengo considerata solo una bella statuina: io sono un essere pensante e molto interessato. Non mi piace quando mi definiscono bella e basta, soffermandosi a ciò».
Queste parole indicano una grande consapevolezza della propria immagine e del potenziale che ne deriva, ma sottolineano anche che, se da un lato la bellezza non è decisamente un merito, essere delle persone interessanti, sì.
Quando le chiedo che rapporto ha, quindi, con la sua immagine, mi risponde: «“Odi et amo”: alle volte è una barriera, altre innegabilmente un ponte di lancio. La mia è sempre stata una battaglia contro la mercificazione nei confronti di qualsiasi essere umano, anche se, sappiamo bene, per una donna alle volte è più difficile. Per esempio: perché se svolgo un buon lavoro e me ne si deve merito, si mette davanti la mia bellezza alla mia bravura? Capita spesso e quando lo notifico mi si dice che sono esagerata e che devo accettare il complimento».
Invece, sostiene: «Chi alza la voce interrompe il ciclo per il quale un consenso implicito può perpetrarsi. Ogni volta che viene accettato un comportamento che ci urta, ma per amor pacis non lo notifichiamo, stiamo insegnando agli altri come “possono” trattarci. Alle volte la mia immagine è un ostacolo anche con le relazioni. Per questo motivo ho spesso l’atteggiamento di chi parte dubbioso, con le mani avanti. Non condanno la logica del “bello”: se vedi due fiori, uno splendente e uno spelacchiato, quale guardi e desideri per primo? Ma se, anche se bellissimo, poi ha un cattivo odore, cosa fai di quel fiore?».
E quindi, come “fiorire” in una società che è fortemente legata all’apparire, prima dell’essere? «Chiediti non che cosa vuole da te il mondo, ma cosa tu vuoi dal mondo. Non per egocentrismo, ma per avere una realtà a tua misura e non sia il contesto a darti forma. Pensiamo ai social, alla tv: sono tentatori, ci mostrano immagini che non sempre esprimono la realtà dei fatti e ci fanno desiderare di assomigliarci sempre di più. A proposito di “fiorire” molto bello è il concetto di fioritura personale, che deriva dall’estetica giapponese. Si parla di fioritura perché si tratta di un processo lento. Un fiore ci mette del tempo a sbocciare ed è comunque qualcosa di lasciato in balia delle intemperie, non è esonerato dall’idea che qualcosa di esterno lo possa rovinare. Come l’ambiente per il fiore, la società è un contesto che ti mette in discussione, che non ti protegge ma che, al contrario, qualche volta ti attacca. A quel punto o stai fermo e subisci o ti fai delle domande, prendi coraggio e vai verso il tuo fiorire!».