Nilda Sartor nasce a Buenos Aires, in Argentina, il 13 febbraio 1925, figlia di Daniele Angelo e Stella Maria Elettra Alban, originari di Lentiai. Daniele era emigrato in Argentina dopo la prima guerra mondiale e in seguito fu raggiunto da Maria, che partì non prima di aver contratto matrimonio “per procura”. La casa dove viveva la famiglia era una sorta di palafitta su di un fiume, costruita con lo sterco di mucca; Maria ben presto contrasse la malaria e, in accordo con il marito, decise di tornare in Italia con la piccola Nilda di poco più di due anni. Il viaggio sulla “macchina a vapore” durò circa due mesi in condizioni igieniche disperate e in uno stato di salute precario.
Quando arrivarono in Italia la povertà era assoluta e desolante, solo l’aiuto dei famigliari permise di ristabilire poco alla volta le condizioni necessarie per la sopravvivenza. A undici anni Nilda aveva completato le scuole elementari e fu mandata a servizio dapprima a Trento, in seguito a Milano. Quando ebbe diciotto anni si presentò l’opportunità di affrontare l’esperienza del lavoro all’estero: l’Italia faceva parte allora dell’Alleanza dell’Asse con la Germania e fu proprio in questo paese che, assieme ad altre giovani di Lentiai, emigrò alla fine del 1942, come lavoratrice nelle campagne tedesche. Il lavoro principale era la coltivazione dei campi di patate, il menù quotidiano era a base di patate e latte: le condizioni erano pesanti, ma la vita fino ad allora l’aveva temprata a sostenere sacrifici, che condivideva con le altre ragazze del suo paese, e insieme si davano coraggio…
Ma il peggio aveva ancora da venire. Dopo l’8 settembre 1943 la situazione politica si ribaltò: gli italiani, partiti come alleati, si trasformarono in prigionieri politici, condannati ad essere rinchiusi nei campi di lavoro. Fu il periodo più buio: l’oppressione della prigionia, le condizioni misere di vita, la continua minaccia da parte delle Kapò di essere inviata in Siberia per ogni minima infrazione alle regole, creavano un costante senso di insicurezza sulla possibilità di sopravvivere. A tutto questo si aggiungeva la convivenza con le prigioniere politiche tedesche, rinchiuse negli stessi campi per le loro idee contrarie al regime. Ai loro occhi Nilda era una collaborazionista del Reich e pertanto la disprezzavano e minacciavano.
Questa esperienza la minò nel profondo, rientrò in Italia nel 1945 in uno stato di assoluta prostrazione e angoscia: scese dal treno a Busche (e non fu mai in grado di raccontare come ci arrivò perché la sua mente aveva rimosso questi ricordi) e non capiva dove si sarebbe dovuta dirigere. Per qualche tempo era come stranita, il riorno alla normalità non fu affatto facile … A questo stato depressivo si sommavano condizioni fisiche di denutrizione e malnutrizione che le lasciarono conseguenze per decenni.
In quel periodo tornò dal fronte greco-albanese anche Silvio Colle, detto Bistre, e un po’ alla volta la vita riprese e tra loro scoccò l’amore. Decisero di sposarsi, ma i soldi erano pochi e l’unica risposta a quel tempo era l’emigrazione. Così Nilda partì per la Svizzera, questa volta con un gioioso obiettivo: avere i soldi per la dote, per l’abito da sposa, per un po’ di festa con amici e parenti. Silvio accettò l’allontanamento dalla fidanzata, ma per un tempo limitato, la voleva sua sposa al più presto, e lui non era un tipo da accettare rinvii!
Si sposarono nell’ottobre del 1948, ed ebbero tre figli, Sergio (1949), Mirella (1953) e Maria Cristina (1966). Nel 1957 una tragedia si abbatté sulla vita della famiglia: Silvio subì un incidente sul lavoro che lo portò nel 1965 all’amputazione della gamba e Nilda, per tutti gli anni intervallati da periodi di ricoveri del marito, dovette lavorare con la forza di un uomo nell’azienda agricola di famiglia.
Negli anni si alternarono gioie e di dolori, condivisi fino al 1997 con il marito Silvio, che morì l’1 ottobre di quell’anno. Nilda, pur smarrita, seppe risollevarsi e vivere gli ultimi vent’anni attorniata dai famigliari e dai tanti amici che le furono sempre vicini, anche quando dovette affrontare nel 2000 l’immenso dolore per la morte in un incidente del nipote Cristian Vedana.
Nel gennaio del 2013 le fu assegnata la medaglia d’Onore del Presidente della Repubblica per i civili internati nei lager nazisti, che ricevette con grande commozione, assieme a Vittore Cecchin di Cesiomaggiore, dalle mani dell’allora Prefetto di Belluno Maria Luisa Simonetti. Nel settembre del 2017 Nilda, all’età di 92 anni, passò ad un dolce riposo, lasciando di sé una testimonianza di donna di grande coraggio, umiltà e resilienza.