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Natale e S. Nicolò

com'erano vissuti negli anni '50

Natale e S. Nicolò

com'erano vissuti negli anni '50
pastori nel presepio all'aperto ai Meli in mezzo alla natura - 2019

Dicembre era sicuramente un mese molto atteso (lo è tuttora) dai bambini per l’arrivo di San Nicolò e la ricorrenza del Natale.

San Nicolò
Quando la nostra gente era povera e parecchi avevano il papà (o entrambi i genitori) all’estero, i doni erano per lo più modesti. All’inizio di dicembre si consegnava alla mamma la letterina con le richieste, molto contenute come da lei consigliato, perché la spedisse al Santo amico dei bambini. Di solito cominciava così: “Caro San Nicolò, portami quello che puoi…”.

Il 5 dicembre si percepiva nei più piccoli una certa ansia. Alla sera preparavano fuori della porta di casa il fieno per l’asino e sul tavolo della cucina un bicchiere di vino per il Santo. Improvvisamente, dopo cena, si sentivano suonare i campanelli agitati dai suoi servitori: era il segnale che si doveva andare subito a letto. La venuta notturna di San Nicolò, che entrava nelle case senza essere visto, era circondata da un’aura di mistero straordinaria.

La mattina del 6 i bambini si svegliavano presto e tutti eccitati correvano a vedere quali doni il Santo aveva portato. Sorpresa! Il fieno era sparito e il bicchiere vuotato. Sopra il tavolo, oltre a qualche giocattolo (magari anche la slitta o il ferion fatti in casa) e a cose utili (colori, quaderni, libretti) c’erano maglioni di lana, berretti, guanti, calze, sciarpe, calzettoni fatti a mano da nonne e ieie, mentre un piatto fondo era colmo di ogni ben di Dio: scuinze, bomboni, mandolato, cornoi, uva americana, mandarini, bagigi, fichi secchi e, perfino, scarobole. Ricordo un particolare.

Divenuto più grandicello (in 5a classe), arrivato a casa da scuola, con l’atteggiamento di chi la sapeva lunga, recitai: “San Nicolò benedet, se to mare no ghen met, al piato resta net!”. “E net al restarà” si limitò a dire mia madre per niente presa alla sprovvista.

Natale
A quell’epoca, approntare l’albero di Natale era considerata un’usanza a noi estranea e quindi tutto l’impegno veniva profuso per allestire un bel presepio. Fondamentale era ogni anno la ricerca del muschio, che doveva essere soffice, fresco e di un verde intenso. Perché avesse tutte queste qualità, si aspettava a raccoglierlo proprio qualche giorno prima di Natale. Diventava un problema se nel frattempo fosse caduta la neve, eventualità senz’altro probabile: a Nadal no farò fal – recita il proverbio. In questo caso, per strapparlo, si dovevano usare le mani nude, che gelavano, e, una volta a casa, metterlo ad asciugare.

C’era chi si fabbricava la capanna di legno, mentre altri costruivano una grotta col tufo trovato dopo lunghe ricerche. Qualcuno, come lo scrivente, costruiva col compensato tutta una serie di casette e pure il castello di re Erode, posto in una posizione dominante in cima a una collina, addirittura col ponte levatoio.

Come sfondo, si collocava un foglio celeste sul quale si posizionavano la luna e le stelle. Sopra la grotta (o la capanna) si sospendeva mediante un filo la stella cometa. Per i fiumi e i laghi si usava la carta stagnola. Le statuine erano di gesso, quindi molto fragili; per conservarle, terminato il periodo natalizio, si riponevano, incartate una ad una, in alcune scatole. Pure i Re Magi erano collocati subito nel presepio, ma molto lontano dalla grotta (o capanna): si facevano avanzare un po’ ogni giorno. Questo accorgimento era adottato per evitare che quegli importanti personaggi si vedessero solo nel periodo dell’Epifania. Era molto suggestivo andare alla prima Messa di Natale a Sedico: al buio si camminava calpestando la neve gelata che crocchiava con quel caratteristico rumore nel silenzio assoluto. Nella chiesa poco illuminata, non riscaldata e ancora pavimentata solo col cemento, si poteva ammirare un presepio che aveva artistiche statue di dimensioni quasi naturali e dai colori vivissimi.

Finita la Messa, era consuetudine recarsi nel vicino Albergo Italia a bere un bollente punch all’arancio che rendeva euforici noi bambini. Il pranzo natalizio era diverso dal solito prevedendo pure l’arrosto e il panettone, apprezzata variante alla consueta dieta mediterranea: non c’erano bambini obesi a quei tempi! Sotto il piatto di uno dei genitori si collocava di nascosto la letterina di Natale in cui, dopo una bella sviolinata all’indirizzo dei cari papà e mamma, comparivano le promesse di essere più buono, obbediente, servizievole e impegnato a scuola. Per Natale tornavano parecchi dei nostri emigranti, attesi con tanta impazienza dai bambini perché portavano la famosa cioccolata Lindt (dalla Svizzera) e Cote d’Or (dal Belgio).

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