La cerimonia religiosa e civica che ogni anno, ad agosto, si celebra in Val di San Martino ha ormai una storia di oltre mezzo secolo. Ebbe inizio con l’incidente mortale di cui fu vittima, l’11 febbraio 1950, Giulio Tatto detto “Faleròt” non ancora cinquantenne. Si era recato, insieme con i figli Ernesto e Giovanni ed il cognato Arcangelo, nella “sorte segativa” chiamata Sas Bagnà per calare a valle con una teleferica il fieno della mèda falciato l’estate prima. Del resto, in quegli anni, per i paesi feltrini era una questione vitale saper strappare alla montagna ogni magro cespo d’erba per le mucche e ogni ramo di legna per il focolare.
Purtroppo, nell’appendere un fascio di fieno alla corda della teleferica, la sua cintura rimase impigliata col legaccio del fascio; il peso del fieno lo fece precipitare oltre lo strapiombo e rimase ucciso sul colpo. Ci sono giornate che sembrano non finire mai e che sarebbe meglio non fossero incominciate.
La moglie Maria non riusciva a staccare lo sguardo dal sentiero che si inoltra verso le Buse: ormai era tempo che i figli comparissero con i primi carichi di fieno sulle spalle. E invece a due, a tre, poi sempre più numerosi, una fila di compaesani transitava nella stradina sotto casa. Tutto era strano. Strano che nessuno alzasse lo sguardo per un saluto. Lei, poi, nelle giornate di letizia, era solita chiamare questo o quello: “Aveu bisogn de lavarve le man? Ho apena fat al saòn!”.
Poi, a passo lento, l’amico di famiglia Piero Vettorel portò la triste notizia. L’anno dopo, l’ancor giovane sacerdote don Lino Tatto, originario di Lasen, emigrato con i genitori in Francia, parente ed amico di famiglia, volle celebrare una messa di suffragio proprio sul posto della caduta. Diverse persone vollero assistere alla messa, ma il posto era troppo disagevole e parecchie rimasero più in basso sulla strada, presso la casera Rombaldi. Così l’anno dopo, si decise di spostare laggiù la celebrazione e, dopo qualche anno, ancora più a valle al “Sant’Antoni”, un luogo più adeguato al flusso di gente che andava anno dopo anno crescendo.
Nel frattempo, don Lino ebbe la felice idea di estendere l’intenzionalità della celebrazione al ricordo di tutti i defunti morti in quella valle, o sulle montagne intorno, per motivi di guerra o di lavoro. Dopo alcuni anni, gli alpini dell’Ana, sempre presenti alle realtà umane, decisero di costruire una caratteristica cappelletta a forma piramidale, assumendosi anche l’incarico di trasportare e sistemare apposite attrezzature per aggiungere all’attrattiva della funzione religiosa anche quella di un sereno e riposante pic-nic.
Don Lino accettò di buon grado l‘iniziativa degli Alpini: «Cosi – disse – questa cerimonia potrà continuare anche dopo di me». Ci ritroveremo così anche quest’anno, domenica 8 agosto alle 11,30, per la santa messa a suffragio di tutti i caduti sul lavoro, seguirà un momento conviviale attorno alla piccola frasca. Che la tradizione continui! In caso di maltempo la cerimonia non avrà luogo.