La Zona Monumentale di Serauta-Marmolada è affidata alla tutela del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra (Ministero della Difesa). Con esso collabora tenacemente “l’inossidabile” Attilio Bressan di Malga Ciapela, prima per 30 anni nel Soccorso Alpino della Val Pettorina ed ora, da venti, dedito al ripristino dei luoghi, alla ricerca di reperti destinati al museo e alla sicurezza dei percorsi attrezzati della Grande Guerra.
Ci troviamo alla quota 2950 dell’imponente massiccio: dal Corpo di Guardia al Comando di Settore, dalla baracca Infermeria alla stazione teleferica, dalla postazione osservatorio a quella della mitraglia e del cannone, e poi più su verso quota 3065, alla Forcella V e galleria Flavio Rosso; qui Bressan l’estate appena trascorsa ha curato, con l’aiuto di qualche volontario, la manutenzione dei vari percorsi, con sostituzioni di corde e chiodi ripristinando sentieri attrezzati e trincee; questo al fine di agevolarne la visita in sicurezza ai moltissimi turisti presenti sulla maestosa Regina grazie alla “Funivie Tofana/Marmolada S.p.a.”. Egli oltretutto, con disponibilità e conoscenza dei fatti, spiega ai visitatori le varie fasi dell’infausto conflitto accaduto in quei luoghi.
LA GUERRA BIANCA
Oggi fatichiamo a immaginare cosa rappresentò la Guerra Bianca sulla Marmolada. I due fronti combatterono a breve distanza fra picchi, trincee e gallerie scavate nella roccia viva e nella spettacolare e ingegnosa città di ghiaccio degli Austroungarici e Kaiserjager, ideata dal tenente ing. Leo Handl: un dedalo di cunicoli e fumo dove si diventava neri come il carbone. Si sviluppava per oltre 10 km con baracche e ciò che serviva; fuori ad ogni nevicata c’erano metri di neve da spalare con l’incubo delle valanghe che facevano strage quanto i colpi d’artiglieria, freddo, fame, fatiche, malattie. Una guerra disperata ed eroica, sanguinosa e fraterna; molti soldati delle due parti si conoscevano o erano parenti che parlavano la stessa lingua, il ladino delle valli sottostanti, cacciati lassù a forza per paura delle fucilazioni per disertori e renitenti. Come avvenne per il soldato De Battista Angelo del 7° Reggimento Alpini Battaglion Val Cordevole che si autoinflisse delle ferite e venne per questo fucilato. Angosciose le lettere dei soldati alle proprie famiglie, molti i reperti ora visionabili presso il prestigioso museo di Serauta.
SUI LUOGHI DELLA TRAGEDIA
Ha collaborato alle attività anche Pietro Bonenti di Sedico, che racconta: «Sono con l’amico Attilio e con la Guida Alpina Pierangelo Pedol di Chies d’Alpago, figura autorevole per la certificazione delle sicurezze dei percorsi. È fine stagione e abbiamo provveduto anche quest’anno alla chiusura delle feritoie e postazioni della Zona di Serauta e Forcella V. Ora, dopo aver percorso la galleria Italiana “Flavio Rosso”, ci troviamo alla base della Forcella. Qui sotto le suole dei nostri scarponi, a seguito dello scoppio di mina, da qualche parte ci sono i 15 fanti con il loro tenente del 52° Fanteria Brigata Alpi e, per riverente rispetto, chiunque arrivi qui dovrebbe sostare scalzo; sulla roccia due lapidi ricordano l’infausto evento. Lo spettacolo da quassù è straordinario: sotto di noi da una parte la spaccatura con lo strapiombo della parete sud sulla val Ombretta, dall’altra verso nord il sofferente ghiacciaio. Qui Attilio ci racconta cosa accadde: “Quando gli Italiani, dopo vari sanguinosi tentativi, occuparono a fine aprile 1917 la Forcella Serauta e in seguito la quota 3065, gli austriaci dovettero riparare sulla vicina Forcella V; iniziarono così i “nostri”, i primi di luglio, lo scavo della galleria da quota 2945 partendo dal Valon de Antermoia con l’intento di sbucare alle spalle delle due grotte austriache. Dopo vari scontri, da ambo le parti progettarono di far saltare gli altri con mina. Iniziarono così a scavare gli italiani da est verso ovest ai piedi della forcella e gli austriaci dal lato opposto; entrambe le truppe erano spaventate dal rumore del nemico che scavava. Fecero prima gli austriaci; l’esplosione al fornello di mina fu spaventosa e violenta, una montagna di detriti sotto i quali rimasero sepolti i fanti. Erano circa le 4.30 del 27 settembre 1917”.
Caro Attilio, “a sereveder ence el prosimo an in Marmoleda e gramanzè” (ci vediamo anche il prossimo anno in Marmolada e grazie tante) per l’importante attività di custode della storia che tenacemente perseveri, affinché in futuro essa non si “sciolga”… assieme al ghiaccio».