Luigi Cima è un artista molto amato nel nostro territorio e la ricorrenza dei 160 anni dalla nascita ci fa tornare a parlare del Maestro, in attesa dell’esposizione che il Comune di Borgo Valbelluna gli dedicherà a dicembre, nelle sale del Palazzo delle Contesse.
Fin dai tempi del suo soggiorno veneziano per studiare all’Accademia di Belle Arti e partecipare successivamente alle più note ed importanti esposizioni, Cima lavora in modo incessante per restituire un’immagine della natura e dell’esistenza corrispondente ai valori del dato reale, consapevole che la pittura di realtà non è riconducibile ad un modo univoco di procedere, ma si apre ad una molteplicità di soluzioni compositive e costruttive dell’immagine.
La sua maestria innegabile è ben visibile nei disegni del periodo dell’Accademia, in bianco e nero, dove con tratto sicuro e accurato definisce volumi, chiaroscuri, ambientazioni. Il disegno dal vero è solo la base di partenza, serve all’artista ad impratichirsi con la tecnica e a concentrarsi poi sulla presa diretta del reale, senza preclusioni di genere.
La pittura di realtà trova il suo apice nelle scene pastorali, della fienagione, del ritorno dal pascolo, del fendineve, nelle quali unisce la rappresentazione del paesaggio all’ esaltazione del lavoro dell’uomo, in un’unica grande visione panica. L’umiltà della fatica viene sublimata dalla bellezza della natura e tutto assurge ad un effetto d’insieme di serena e delicata poesia. Le scene di genere sono concepite per dare dignità ai gesti quotidiani, ai sentimenti veri che caratterizzano l’esistenza umana, come i legami affettivi.
Cima intende restituire un’immagine vera del reale, trascrivendo i dati visivi attraverso effetti cromatico-luminosi, pennellate libere e sensibili che assecondano gli impulsi derivanti dallo sguardo e dall’interiorità. Non a caso la sua carriera è accompagnata da una costante fortuna commerciale. È una pittura apprezzata per le atmosfere suggerite da improvvise vibrazioni di luce, per la serenità mai enfatizzata dei personaggi, per la suggestione dei toni cromatici.
Cima elimina i risvolti retorici per concentrarsi su una dimensione di presa diretta, senza filtri intellettuali e ci colpisce la naturalezza con cui si muovono i personaggi, la gestualità composta delle azioni, l’intensità degli sguardi. L’artista entra in rapporto empatico con il soggetto, ne raffigura pregi e difetti, ne suggerisce moti interiori, ne interpreta l’identità psicologica con sobrietà e misura, con serena familiarità.
Nel suo caparbio ritiro a Villa di Villa la vita del Maestro segue dei rituali metodici, improntati alla semplicità, con ritmi scanditi dai rintocchi della campana, dall’alba al tramonto, in un susseguirsi di lavoro, di studio e di meditazione. Ed era uomo profondamente credente, frequentatore assiduo delle celebrazioni. La produzione a carattere religioso è improntata su diversi aspetti che ricalcano da un lato la narrazione documentarista dei riti sacri, come segno di devozione popolare, dall’altro le pale d’altare o le committenze religiose, legate a canoni raffigurativi ben precisi. In tutte le opere sacre si può notare l’umanità dei personaggi rappresentati, perché l’artista si serviva dei familiari come modelli, al punto da incorrere a volte in critiche da parte della commissione sacra che, andata a visionare la pala del Sacro Cuore di Gesù per il seminario di Vittorio Veneto, non era convinta del realismo troppo esplicito, oppure dei committenti della pala di san Giovanni Bosco per la chiesa di san Rocco a Belluno, che gli contestavano i bambini ( i suoi nipoti) ricoperti di umili stracci, costringendolo a cambiare la foggia gli indumenti. Nelle opere su commissione mancano la naturalezza e la spontaneità espressiva, ma bisogna accettare i compromessi per vivere.
Le prime pale d’altare risalgono al 1897 dipinte per l’eremo di San Donato (Madonna del Caravaggio) e per la chiesa di Carve (San Rocco e San Luigi), da quel momento gli incarichi si sono susseguiti numerosi soprattutto per le chiese della zona trevigiana e per l’entroterra veneziano, opere nelle quali l’aspetto umano dei personaggi si è fuso con l’aspetto divino, in un’atmosfera pervasa di pace e di spiritualità. Anche nelle scene più drammatiche come le stazioni della Via Crucis dipinte nel 1912 per la parrocchiale di Villa di Villa, la forza interiore di Cristo è contenuta entro un dolore rassegnato, paziente, di accettazione cristiana.
La Via Crucis è considerata la più importante opera sacra dell’artista, per la forza interiore dei personaggi, per la visione emotiva coinvolgente, senza risvolti retorici, senza filtri intellettuali. Realtà e spirito, sacro e profano si uniscono in un’unica visione capace di tradurre emozioni che troviamo indifferentemente nella natura, nell’uomo, nel credo, nell’essenza stessa dell’esistenza.
LUIGI CIMA 1860-1944
Dopo avere iniziato gli studi a Feltre presso l’Istituto tecnico, si trasferisce a Venezia per completare la propria formazione artistica all’Accademia di Belle Arti. Qui segue i corsi di Bresolin, D’Andrea ottenendo numerosi premi e riconoscimenti. Nello stesso periodo lavora come disegnatore di figure e decorazioni per Valentino Panciera Besarel, scultore e intagliatore zoldano nella tradizione del Brustolon. All’Accademia di Venezia, il suo insegnante Giacomo Franco lo sceglie come assistente e viene assunto come disegnatore dallo scultore Dal Zotto, potendo così iscriversi insieme a Favretto ai corsi liberi di pittura di Pompeo Marino Molmenti, Nono e Guglielmo Ciardi.
Nel contempo inizia un’attività espositiva ricca di soddisfazioni e di riconoscimenti che lo vede, ad esempio, nel 1884, presente a tre esposizioni nelle città di Torino, Milano e Verona; l’opera Ritorno dal pascolo, presentata a Torino, viene acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione per la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Nel 1888 invia all’Esposizione Nazionale di Firenze Una preghiera a San Marco, opera premiata e acquistata da S. E. Enrico di Borbone Duca di Bardi, mentre nei due anni successivi partecipa a mostre a Milano e Verona con le opere Primi sintomi, Addio, Un canale a Venezia e In chiesa, quest’ultima acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione per il Museo di Verona.
Nel 1894 Cima esegue 38 tavole per il libro su Venezia pubblicato dall’editore Engel di Vienna e l’anno seguente espone alla prima Biennale veneziana. Nel 1899 la commissione della Biennale veneziana rifiuta il dipinto Senza mamma e Cima, a sua volta, non accetta la proposta del Presidente della commissione di esporre in una mostra parallela tra i migliori artisti respinti. L’episodio determina la decisione di Cima di ritirarsi a vita privata nella sua Villa di Villa. Gli amici, a sua insaputa, spediscono sue opere, come testimonia la partecipazione all’Esposizione di Milano del 1900; nel 1902, nella città di Verona con Ultimi giorni d’autunno e La veglia dei poveri, nel 1905 alla Biennale veneziana, nel 1930 a Belluno, nel 1935 in occasione del quarantennale delle Biennali. A Villa di Villa, il paese che lo ha visto nascere, continua a dipingere fino al 1944 tornando più volte sugli stessi temi (soggetti sacri, paesaggi, ritratti).