Forse, con le coccinelle, le lucciole sono tra i pochi insetti che tutti hanno il piacere di incontrare, passeggiando nelle calde sere estive, grazie alla loro capacità di emettere segnali luminosi. Questa prerogativa non è un’esclusiva loro, ma la bioluminescenza si manifesta anche in altri coleotteri, ad esempio gli Elateridae, in alcuni funghi, pesci, invertebrati marini e persino batteri o alghe unicellulari. Le lucciole sono coleotteri della famiglia Lampyridae, che annovera circa 2000 specie nel mondo, concentrate soprattutto nelle zone tropicali ed equatoriali, solo 50 in Europa, di cui 21 in Italia e 3 nel Bellunese. Non sono certamente tra i coleotteri più graziosi, considerati i loro colori scuri ed il fatto che in molte specie la femmina è neotenica (cioè priva di ali e simile a una larva).
La magia della luce
Questi insetti sono dotati di organi fotogeni ad altissima efficienza energetica, situati generalmente negli ultimi segmenti addominali. Sono strutture composte da uno strato interno di cellule sature di cristalli di acido urico altamente riflettenti, uno strato intermedio di cellule luminose e infine da una sottile pellicola trasparente.
La magia delle lucciole è in realtà una reazione chimica volontaria, controllata dai muscoli addominali che l’insetto può contrarre regolando la quantità di ossigeno che raggiunge gli organi luminosi. In presenza di ossigeno infatti, e grazie all’azione dell’enzima luciferasi, la proteina luciferina, impiegando l’energia fornita dalla molecola energetica ATP, forma con l’ossigeno un complesso instabile che poi decade producendo CO2 con l’emissione di fotoni di luce fredda. Il processo avviene senza spreco di energia, con un’efficienza di circa il 90-99%, a differenza delle più moderne lampade a LED nelle quali ancora molta energia viene dissipata in calore, motivo per il quale gli organi luminosi delle lucciole sono tutt’ora oggetto di studio.
La riproduzione
La cosa davvero straordinaria è che ogni specie emette luce con frequenza propria, riuscendo a comunicare in maniera elettiva con gli individui conspecifici. I maschi di alcune specie, ad esempio, emettono luce ad intermittenza e le loro compagne comunicano la loro disponibilità sincronizzando la propria luminescenza con quella del maschio prescelto. In altri casi, invece, la femmina emette una luce fissa continua e si posiziona in un luogo visibile, ad esempio su uno stelo d’erba o su un muro, aspettando per un paio d’ore che passi di là un compagno.
Se l’incontro non avviene, la cosa si ripete per una o due settimane nelle calde notti d’estate, fino a quando la femmina non depone le uova, anch’esse luminescenti, come pure gli stadi larvali, che usano l’emissione luminosa per difendersi dal loro principale predatore ovvero il rospo comune. Le larve si nutrono di Gasteropodi e sono voraci predatrici di chiocciole e lumache: attaccano la preda a morsi e vi iniettano enzimi digestivi che ne trasformano i tessuti corporei in un composto liquido di cui si nutrono. Possono impiegare anche due o tre anni per portare a termine lo sviluppo larvale, che passa attraverso 4 o 5 mute, prima di compiere la metamorfosi e trasformarsi nell’adulto, che può nutrirsi di nettare, vegetali oppure non nutrirsi affatto.
Meccanismi di difesa
La bioluminescenza è necessaria agli adulti attivi di notte per comunicare con gli individui della stessa specie e favorire quindi l’accoppiamento, ma anche come segno di avvertimento per eventuali predatori. L’emissione di luce permette infatti ad essi di riconoscere facilmente questi insetti, una volta “assaggiati”, ed imparare ad evitarli poiché hanno un cattivo sapore. Un caso davvero originale è quello delle femmine del genere americano Photuris, che imitano l’emissione luminosa delle femmine di Photinus, genere affine, ma molto più piccolo, al fine di attirarne i maschi. Una volta caduto nel tranello, il malcapitato viene divorato e, sotto stress, produce lucibufagina, una sostanza steroidea tossica simile a quella prodotta dalla Digitalis che, ingerita dalla femmina predatrice, la protegge a sua volta da eventuali predatori, conferendo ai suoi tessuti un sapore sgradevole e rendendoli quindi inappetibili.
I rischi dell’inquinamento
Negli ultimi decenni le lucciole hanno subito gli effetti della perdita di habitat, in molti casi convertiti all’agricoltura, e del conseguente uso di prodotti chimici che vengono assimilati dalle lumache, di cui le larve si nutrono, intossicandosi a loro volta. Inoltre, questi coleotteri risentono fortemente dell’inquinamento luminoso nelle ore notturne, che impedisce loro di comunicare e incontrarsi, condizionandone fortemente il successo riproduttivo. La conservazione della natura e delle sue risorse richiede dunque la tutela di specie note e apprezzate, come le lucciole, e di altre molto meno conosciute, ma indispensabili a garantire processi ecologici e funzioni ecosistemiche che sostengono la vita sul nostro pianeta.