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Luca Burlon, il coraggio dell’ambizione

da S. Giustina a Hanoi (Vietnam)

Luca Burlon, il coraggio dell’ambizione

da S. Giustina a Hanoi (Vietnam)
Luca Burlon - da S. Giustina a Hanoi (Vietnam)

Tra Santa Giustina, Belluno, Italia e Hanoi, la capitale del Vietnam affacciata sul Mare Cinese Meridionale, ci sono 22 ore di aereo (o 125 di auto, volendo), 11614 Chilometri, 6 fusi orari, 35 milioni di persone (circa 60 in Italia, 95 in Vietnam) e quasi 7 punti di Pil. Sorridente dalla sua casa di Hanoi, via Skype, Luca Burlon, 25 enne di San Gregorio Nelle Alpi, ci accoglie dall’altra parte del mondo.

Luca, cosa ci fai da quelle parti?
Faccio l’insegnante di Economia alla Nguyen Sieu, un’importante Scuola di Hanoi: seguiamo un programma internazionale dell’Università di Cambridge in inglese e vietnamita. Abbiamo circa 3000 studenti che studiano turismo, economia, scienze sociali e pensiero critico, che è una disciplina che in Italia non esiste e che consiste nel focalizzare la propria attenzione non sulle conoscenze, ma sulle competenze. È un punto di vista molto pratico. I nostri studenti poi devono fare degli esami esterni uguali a quelli dei loro coetanei di tutto il mondo.

E come ti trovi?
Molto bene, davvero. I miei studenti studiano molto, ma lo fanno con gioia, sono consapevoli di avere tra le mani un’occasione importante per costruire il loro futuro. Qui c’è ancora molta povertà e avere l’opportunità di studiare non è da tutti. Hanno per i docenti un sano rispetto e sono molto interessati a quello che fanno.

Ci sono altri italiani?
No, il corpo docente è internazionale, ma oltre a me nessun italiano. Non c’è comunque in Vietnam una comunità italiana, la presenza dei nostri connazionali è sporadica e limitata a qualche manager d’industria e alla ristorazione.

Ti senti trattato da straniero?
Assolutamente no, e questo è un aspetto straordinario di questo popolo. Sono persone molto aperte e non esiste il razzismo né la discriminazione. Io ho un’esperienza molto positiva, sia come straniero lavoratore che come persona. Certo la barriera linguistica crea qualche difficoltà (il vietnamita è una lingua tonale, molto difficile per un europeo, ndr) ma moltissimi parlano inglese soprattutto tra i giovani e questo permette una normale vita sociale.

Com’è vivere in un contesto così diverso da quello nel quale sei cresciuto?
Molto piacevole. Il Vietnam è un paese in via di sviluppo che corre come un treno, la gente ha mediamente molto meno di quello che ha in Italia ma è molto più contenta. Ci sono sacche di povertà estrema, ma stanno lavorando per costruire un paese moderno. C’è molto inquinamento, Hanoi è una delle città più inquinate del mondo con un traffico pazzesco, in compenso hanno una natura incredibile e dell’ottimo cibo.
Come ci sei arrivato?
A 22 anni ho aderito ad un progetto dell’Università di Bologna, dove poi mi sono laureato in Economia, per insegnare inglese in un centro pomeridiano a bambini dai 4 ai 12 anni. Dovevo fermarmi sei mesi, ma l’ambiente mi è così piaciuto che sono rimasto, venendo in Italia solo per dare gli esami che mi mancavano per la laurea. Sto studiando da remoto un master alla Open University in Inghilterra sulla Leadership dell’educazione.
Ti manca l’Italia?
Mi manca parlare italiano (ride), mi manca il cielo azzurro di San Gregorio, qua è bianco che sembra latte, mi manca andare in montagna, qua non ci va nessuno. Ho contatti stretti con la mia famiglia, grazie alla tecnologia, che vedo un paio di volte l’anno e con alcuni amici.

Come vedi il tuo futuro? Ti immagini sempre in Vietnam?
Per ora sì, almeno finché non avrò completato la mia formazione professionale. Ci sono per i giovani prospettive che in Italia non sono contemplate neanche lontanamente: l’età media degli insegnanti della mia scuola è 29 anni, a 25 sei facilitatore e puoi insegnare con uno stipendio maggiore di quello che prenderesti in Italia. Qui, e in genere nei paesi in via di sviluppo, conta la prospettiva più che quello che uno ha, il modo in cui si colgono le cose. Ho imparato il coraggio dell’ambizione: in senso positivo vuole dire quello che uno cerca per se stesso, che ruolo vuole ricoprire nella comunità e che direzione vuole dare alla sua vita.

Ad Hanoi è sabato sera, e Luca mi saluta che deve uscire con gli amici. «Birretta?» gli chiedo. «No, qua i ragazzi sabato sera bevono tè col latte…». Ecco, questa è una cosa che dell’Italia mi manca proprio!

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