Ci sono momenti della nostra vita nei quali, in modo volontario o obbligato, abbiamo l’occasione o la necessità di soffermarsi, di guardarci dentro, sfuggendo nel limite del possibile e senza scadere nell’egoismo, le vicissitudini del mondo che scorrono inesorabili. Momenti che, nel nostro complesso paesaggio interiore, vanno vissuti nel proprio posto dell’anima, sia esso fisico o mentale.
Per quanto semplice o banale possa sembrare, l’orto è uno dei posti dell’anima più intimi, è quella stanza a cielo aperto della propria casa, dove ritrovare in modo indaffarato o pacifico, solitario o condiviso, un rifugio, una riconnessione con i ritmi della natura e con le nostre radici culturali.
In questo senso, negli ultimi decenni c’è stato un progressivo passaggio di funzione dell’orto, da efficace assicurazione contro la povertà, a luogo di svago o meditazione. Sarebbe però sbagliato e riduttivo perdere di vista la sua complessità di funzione e dunque proviamo indagare alcune sue peculiarità. Chi nel proprio orto, giardino o anche solo sul terrazzo, si prende cura di piante e fiori, ne ammira la vita, ne annusa i profumi, già conosce bene i suoi benefici effetti, sia sul corpo che sulla mente e non a caso si parla espressamente di ortoterapia. L’orticoltura non è, però solo un sano passatempo del dopolavoro o per pensionati, è anche una seria e collaudata proposta terapeutica anti-stress, un supporto alla cura a patologie o particolari stati emotivi, nella speranza di un reinserimento socio-lavorativo.
Nell’orto si possono ricostruire i meccanismi dei rapporti intergenerazionali e la trasmissione dei saperi. L’autoproduzione del cibo, con tutta la necessaria pazienza, tempi d’attesa, incertezze e rischi ingovernabili per natura, oltre che fonte di gratificazione, conduce a una rinnovata assunzione di senso di responsabilità ecologica. Dal punto di vista economico, l’orto, in effetti, è oggi purtroppo poco premiante, ma permette di acquisire una speciale consapevolezza sulla valutazione dei prezzi dell’ortofrutta e tutte le sue evidenti distorsioni commerciali, come anche una speciale capacità nel confronto qualitativo organolettico e sensoriale dei prodotti. Gli orti sono dunque un patrimonio da preservare con consapevolezza e impegno, tanto del nostro paesaggio interiore, tanto in quello storico, artistico e ambientale dei nostri paesi.
Ma che fine hanno fatto i nostri orti, stiamo parlando di sociologia o di archeologia? Direi ancora viva sociologia, con un incoraggiante ritorno alla campagna, ma non possiamo certo ignorare situazioni come l’invecchiamento della popolazione o eccessi con soluzioni volte a preferire più il valore estetico e decorativo che non l’effettiva produzione a scopi alimentari.
A tal proposito, merita riportare quanto scrive l’amico primierotto Gianfranco Bettega, rispetto all’analoga situazione in Primiero e prendere poi spunto dal progetto “Orti a Mezzano” dallo stesso curato. La dinamica è elementare: poche fasi concatenate. Dall’orto ricco, curato e produttivo (in genere merito di una donna, di solito anziana) si passa dapprima (La signora se ne è andata? Gli eredi non hanno tempo “da perdere” in orti, zappe e sementi?) ad uno spazio “inutile” invaso da erbacce.
Qui, si apre un bivio. C’è chi lascia crescere un prato che sfalcerà più o meno regolarmente, oppure trasformerà in “giardino” con tutto l’armamentario del caso: gazebo, sedie, tavoli, barbecue, sette nani, tosaerba… C’è chi invece decide subito per una “sistemazione definitiva”: una bella pavimentazione (betonelle, piastre, cubetti, salesà, asfalto…) dove non crescano né erbacce né ortaggi: facile da pulire e pratico “posto macchina”. È questa la penosa fine fatta da molti orti negli ultimi anni.
Ma dunque adesso cosa possiamo fare? Interessante potrebbe essere un’indagine e censimento dei nostri orti di paese, funzionale alla definizione di più mirate azioni sia a livello individuale sia collettivo. Poi ancora, da parte di proprietari di case, progettisti e amministratori comunali, meriterebbe impegnarsi per riconsiderare la funzione territoriale e paesaggistica dell’orto, come componenti fondamentali dell’abitato e del paesaggio che migliorano la casa e la qualità abitativa.
Per prevenirne l’abbandono, basterebbe anche solo alleggerire i vincoli per coerenti e limitati inserimenti di nuove strutture (piccole serre, ripari, sistemi di compostaggio, forme di captazione, riciclo delle acque meteoriche) e nel complesso riconsiderare il verde privato e pubblico non solo come luogo di relax e parcheggio di autovetture, ma anche funzionale ai fabbisogni alimentari familiari.