Caro Gianni, qualche giorno fa hai concluso la tua esistenza terrena e quando muore un poeta siamo tutti un po’ più soli. Ho provato la stessa emozione di quando ci hanno lasciato De Andrè, Gaber, Dario Fò e pochi altri. Mi sento di scriverti queste due righe perché me lo dice il cuore. Userò un po’ la lingua italiana e un po’ di parole o frasi in dialetto, come, del resto, facevi tu e dove eri maestro.
Avevi un ottimo italiano frutto di grandi letture e di insegnamenti ormai antichi che avevano un rispetto quasi religioso della grammatica, della sintassi, della forma della lingua nazionale, cose passate oggi in secondo piano. Conoscevi molto bene i segreti del dialetto bellunese/veneto, molte delle sue parole più antiche ormai scomparse.
Molti detti, proverbi, memorie che da decenni catalogavi, registravi, insieme a ricette, modi di fare usanze popolari, maschere e tutto quello che poteva essere inserito nell’enorme panorama della cultura popolare soprattutto della montagna veneta, ma non solo. Ti piaceva la musica, avevi una predisposizione naturale per fare armonizzazioni vocali che spesso avevano radici profonde quasi fossero reminiscenze tribali del canto sacro e spontaneo dei nostri avi.
Mi piaceva moltissimo quando trovavi similitudini fra usanze della nostra terra e quelle di popolazioni lontanissime. Ogni incontro con te era un viaggio. Un viaggio prima di tutto dell’anima e nell’anima. Non eri mai banale, scontato, superficiale. Avevi un senso dei tempi comici innato, ma anche coltivato. Eri molto esigente, avevi chiaro sempre cosa volevi fare quando cantavi, quando scrivevi, quando organizzavi spettacoli e convegni.
Con te si discuteva molto, era necessario, il tuo bagaglio di conoscenze, la tua personalità alzavano sempre il livello dell’asticella e ogni volta era una sfida, intellettuale, umana. Te era an sacramento Giani! Eri una persona speciale e con le persone speciali, che hanno sensibilità speciali, non è sempre facile rapportarsi. Un giorno tu hai scelto il tuo mondo fatto delle tue creazioni: libri, poesie, canzoni, raccolte, ecc. e, volenti o nolenti, le persone che avevi vicino avrebbero dovuto tuffarsi in quel mondo che pezzo per pezzo avevi costruito nel corso della tua vita, nella quale non credo tu abbia sprecato un solo secondo: avevi troppa fame di sapere, di approfondire, di conoscere di rappresentare.
È vero che quando muore un poeta rimaniamo tutti un po’ più soli, ma è anche vero che un poeta ci lascia la sua essenza, i suoi profumi letterari su di un prato comodo che non sfiorirà mai. Sta a noi andare a cogliere quei fiori delicati e forti e farli vivere nel nostro spirito.
Ciao Giani. Polsa, se vedaròn.