Noi alunni della classe I B a tempo prolungato ci siamo trovati in più occasioni ad avere a che fare con la civetta, una delle sei specie di rapaci notturni presente all’ interno del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Uccello affascinante, dallo sguardo curioso, a cui la tradizione popolare ha attribuito svariati valori simbolici, a volte positivi, altre volte negativi. Vogliamo perciò condividere con voi lettori i nostri incontri “civettuoli “.
Durante lo studio della mitologia greca la prof. di italiano ci ha fatto conoscere le varie divinità greche e ciascuno di noi ne ha impersonata una in un divertentissimo Role Play (gioco di ruolo). Miriana e Sara hanno scelto Atena, dea della sapienza , nata dalla testa di Zeus. Ad essa era sacra la civetta, il cui nome scientifico è appunto Athene noctua.
Con la prof. di geometria abbiamo costruito degli origami, ed ecco saltar fuori ancora… la civetta. Durante un lavoro di manipolazione delle fiabe, la prof. di italiano ci ha proposto di restituire dignità al povero lupo di Cappuccetto Rosso , riscrivendo la nota fiaba dal punto di vista dell’ animale “cattivo” per antonomasia in ogni fiaba. Perché non fare la stessa operazione con la povera civetta, presaga di morte nella tradizione popolare? Ed ecco che Geremia e Thomas hanno bonificato il pregiudizio facendo del canto della civetta un annuncio di vita… almeno a Roncoi.
Un secolo fa, a Roncoi di S. Gregorio, i fratelli boscaioli Bepi e Carlo possedevano quasi tutta la montagna che sovrastava il paese, luogo di prati sfalciati, di faggi, di carpini bianchi e neri, di noccioli e di castagni. Nei boschi sotto il Pizzocco vivevano da sempre alcune civette che venivano viste di malocchio dalla popolazione a causa del secolare pregiudizio su questi rapaci notturni: si credeva che portassero lutti e dolore nei pressi del luogo in cui il loro lugubre canto veniva udito. “Atu sentì, la àtu sentìda…?“, si sussurrava spesso in paese.
Una sera d’autunno i due fratelli si stavano attardando nel bosco a fare legna quando, d’un tratto, scorsero una civetta che cantava incessantemente. Bepi puntò il fucile che, da incallito cacciatore, portava sempre nel suo zaino e le sparò ad un’ala. La civetta emise un verso straziante che risuonò per tutto il paese, quindi precipitò a terra ferita.
Ma quando Bepi stava per ucciderla, udì alle sue spalle un fortissimo grido di dolore: era sua moglie, in preda alle doglie e ormai vicina al parto. Il boscaiolo abbandonò a terra l’arma e si precipitò lungo il bosco, verso casa. Trafelato, chiese alle donne cosa fosse accaduto. Il vagito proveniente dalla camera fu la miglior risposta: era nato il figlio Toni!
Bepi rimase a farle compagnia, mentre Carlo diffondeva per il paese la voce dell’accaduto. Da allora la gente di Roncoi si tranquillizzò e smise di cacciare le civette.
Ancora oggi, lassù, quando odono il canto della civetta, sono contenti perché sanno che è l’annuncio di una nuova creatura che si affaccia alla vita sotto l’ombra del Pizzocco.
Ma che fine fece la povera civetta colpita da Bepi? Ripreso faticosamente il volo, si rifugiò a nidificare dentro il campanile della chiesetta.