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Latteria di Valmorel

L'ultima turnaria del bellunese

Latteria di Valmorel

L'ultima turnaria del bellunese

Posta al centro della piazza, è uno dei cuori pulsanti della frazione. Un punto di riferimento dal punto di vista produttivo e sociale, da quasi 82 anni. Stiamo parlando della latteria di Valmorel, l’ultima rimasta del Bellunese ad adottare il metodo turnario. Con il segretario Sergio Venturin ne abbiamo ripercorso le origini e gli sviluppi storici, il sistema e le tecniche di lavoro, fino ad arrivare al tempo presente, con uno sguardo rivolto verso il futuro.

Quando e in che modo nasce la latteria di Valmorel?
La latteria di Valmorel è stata costruita nel 1938, e ufficialmente costituita il 22 dicembre 1939. È stata realizzata dai contadini di allora con pietre del posto. In origine era più piccola di adesso, è stata ampliata nel 1965.

Quella di Valmorel si distingue in provincia per essere l’ultima latteria turnaria rimasta. Può spiegarci in cosa consiste questo modello?
È un modello che ha avuto il suo boom nei primi decenni nel secolo scorso. Tra fine ‘800 e inizio ‘900 sono sorte un po’ in ogni paesino, in tutte le vallate bellunesi.
La latteria turnaria nasce sul concetto di autoconsumo, tutta la filiera si apre e si chiude presso le aziende agricole. È, in sostanza, una cooperativa di servizio che raccoglie la materia prima, la trasforma collettivamente e restituisce i prodotti caseari ai soci. Ogni giorno le aziende portano, alla mattina e alla sera, il latte appena munto. L’indomani, a turno, un socio collabora assieme al casaro per le attività di trasformazione, e tutti i prodotti di giornata diventano di sua proprietà. Ogni socio lavora più volte in base alla quantità di latte che conferisce. A fine mese ogni socio risulta in debito o in credito verso la cooperativa.
La latteria turnaria si differenzia dalla latteria sociale, che invece gestisce tutto: acquista direttamente il latte dai produttori, lo trasforma e poi lo mette in commercio.

Anche accessori e tecniche di lavorazione sono, nel corso della storia, restati gli stessi?
Fondamentalmente sì. Si sono modernizzate attività e strumentazioni, però nelle sue peculiarità il processo lavorativo è rimasto sostanzialmente inalterato. Utilizziamo ancora il metodo della lavorazione a latte crudo, riscaldandolo a 37-38 gradi. Non è stata introdotta la pastorizzazione, come nelle latterie industriali, ma se necessario si fa una termizzazione del latte. Abbiamo conservato la produzione del burro con la panna per affioramento: il latte non viene refrigerato, ma mantenuto alla temperatura dell’acqua, affinché avvenga il processo naturale dell’affioramento della parte più grassa. Per questi motivi, il nostro formaggio è nell’albo dei prodotti tradizionali della Regione Veneto.

Quali sono stati, nel corso dei decenni, i salienti eventi di sviluppo?
Il boom c’è stato negli anni ’40-’50. Il numero massimo di soci si è avuto a inizio anni ’50. Appena dopo la Seconda guerra mondiale, erano oltre 100 le famiglie che qui conferivano il latte, anche se in piccola quantità. Da quel picco, si è assistito poi ad un progressivo abbandono, in particolare dagli anni ’60, quando l’industrializzazione ha strappato la manodopera dal territorio rurale. Le aziende rimaste si sono ingrandite ma hanno mantenuto una conduzione familiare, fino ad arrivare alla situazione attuale.

Come si muove la latteria oggi? E come intende muoversi in proiezione futura?
Oltre all’aspetto di una produttività di nicchia, la latteria cerca di mantenere un ruolo sociale. Caratteristica che è un punto forte della sua storia, ma è un valore ancora attuale e da recuperare, che dà forza e fiducia per guardare avanti. Non a caso stiamo allacciando rapporti e mettendo in piedi un gemellaggio con realtà simili a noi, in particolare Gemona e Pejo.

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