Te se come ‘l porzel de Sant’Antoni, ci si sentiva dire spesso nel passato (e qualche volta anche al giorno d’oggi dai più anziani) quando si usciva (e si esce) fuori a pranzo o a cena, ospiti in qualche casa di parenti o amici, e magari in piu occasioni! Ma qual è il motivo di questo modo di dire? Questa tradizione, dismessa una cinquantina d’anni fa, è iniziata tanti anni prima, quando era usanza l’acquisto da parte dei “fabricéri” (cioè coloro i quali gestivano la situazione economica della chiesa) di un piccolo maialino.
Esso veniva dato in custodia a qualche famiglia che aveva la disponibilità di una “stia” (il locale in cui venivano tenuti i maiali) e questo maialino, durante la giornata, veniva lasciato libero a girare per le case delle famiglie del paese, le quali gli davano da mangiare. Così, girando da una casa all’altra, cresceva, si ingrassava ed era custodito e guardato dai paesani: esso era per tutti il “porzhel de Sant’Antoni”.
Tutti quanti avevano il massimo rispetto per questa bestia, che era anche considerata di buon auspicio per la protezione degli animali che ogni famiglia aveva in casa, ed in particolare per i maiali stessi, che erano un grosso sostentamento alimentare per tutta la famiglia.
E così, vagando di casa in casa, arrivava finalmente il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) con la celebrazione della Santa Messa nella chiesetta frazionale di Saltoi, dove vi era una grande partecipazione di fedeli sia della frazione che dell’intera parrocchia.
In quell’occasione veniva portato questo bel maiale sul sagrato della chiesa insieme ad alcune ceste che venivano riempite con parti di maiale offerte dai fedeli; in particolare si usava portare le gambe anteriori, le orecchie ed anche qualche “luganega”, “scorzhét” e “figadét”.
Finita la celebrazione della santa messa, tutta la gente si fermava sul piccolo sagrato ad assistere all’“asta del porzhel”, cioe alla vendita all’incanto di questo maiale e di tutte le altre cose offerte dai fedeli. Generalmente vi si trovava anche qualche mercante o macellaio che cercava di acquistare il tutto in un blocco per fare dei buoni affari, non tenendo conto però che, siccome il ricavato andava a favore della manutenzione o di eventuali interventi necessari alla chiesetta, vi era sempre qualche buon mecenate che offriva molto di più di quanto potesse essere il valore di mercato o di vendita nelle macellerie. A battere quest’asta erano sempre i “fabricéri” e, negli anni in cui mi ricordo di quest’asta, erano sempre Battista “Tita” Paganin e Diletto Corte i battitori, che con molta esperienza e “savoir-faire” riuscivano a ricavare il massimo da questa vendita, lodando quanto veniva offerto e convincendo battuta dopo battuta i presenti ad un continuo aumento dell’offerta.
Ancora oggi, dopo la celebrazione della santa messa, viene impartita da parte del sacerdote la benedizione degli animali presenti e subito dopo viene fatta una piccola asta di quanto gentilmente offerto dalle famiglie locali.
In questo periodo un momentaneo arresto, a causa del virus, ma non è detto che per il prossimo anno non si possa rinnovare in modo ancora più efficace questa bella tradizione.