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iannino, ragazzo dodicenne esuberante, molto bravo a scuola (aveva frequentato la 1a media a Belluno), con l’antipatia per il mare dopo le esperienze negative in colonia, fu affidato dal padre a Riccardo (originario di Cencenighe ma a Noal di Sedico, da tanti anni, conduttore della malga in Faverghera e suocero della zia paterna) per una vacanza sana in montagna. La sveglia avveniva all’alba e, mentre Nena, la moglie del malgaro che aveva oltre sessant’anni ma ben portati, preparava la minestra di fagioli, Riccardo, i suoi figli e un giovane pastore andavano nella stalla a mungere le mucche.
Il burro
A Giannino avevano assegnato il compito di ricavare il burro, attività da lui svolta ogni mattina con grande impegno. Per effettuare questa operazione, innanzitutto il malgaro immetteva, attraverso uno sportellino, il latte in una centrifuga di legno che veniva posizionata verticalmente e sospesa, mediante i perni di cui era provvista, su due cavalletti per poter ruotare; quindi invitava il ragazzo a girare la manovella che era attaccata alla centrifuga stessa. Dopo un certo numero di rotazioni, Giannino cominciava a sentire distintamente il rumore del latte che si addensava; era quello il momento in cui si trasformava in panna montata: il ragazzo lo sapeva, ma non tentò mai di aprire lo sportellino anche soltanto per assaggiarla. Eppure non sarebbe stato difficile farla franca in quanto al mattino il camino non tirava e lo stanzone, pur con la porta aperta, era sempre pieno di un fumo talmente denso da far continuamente lacrimare Giannino e da impedirgli addirittura di vedere se qualcuno entrava o usciva attraverso l’uscio.
Il formaggio
Interessante era assistere al procedimento per ottenere il formaggio riscaldando il latte in una grande caliera e aggiungendovi il conàio (caglio); a questo punto la cagliata così ottenuta veniva rotta con un apposito attrezzo e la pasta granulosa del formaggio un po’ alla volta veniva raccolta in teli di canapa e messa negli appositi scàtoi (sorta di forme in legno basse, circolari e restringibili): da qui il detto ogni spress (formaggio) ghe someia ai so scàtoi. Giannino attendeva la fase finale, quando le forme venivano ben arrotondate: le striscioline di scarto ricavate, messe a rosolare vicino alle bronze, erano una vera leccornia.
Menù da ristorante stellato
La colazione consisteva in polenta e nida (il siero residuato dalla produzione del burro), in quanto il latte, che veniva conservato fresco in una grotta naturale, era bandito. A proposito della nida, una volta capitò nella casera un noto scroccone di Sedico, ben conosciuto da Riccardo, che gli offrì quel siero dal sapore un po’ acidulo (che diventa un forte purgante se bevuto in quantità eccessive). Lui ne approfittò a tal punto da lasciarne il segno lungo il sentiero di discesa.
Il pranzo, a mezzogiorno, consisteva in polenta e formaggio, mentre per cena c’era sempre minestra di fagioli, i cui ingredienti erano: pasta, fagioli, acqua, sale e olio; non era un granché, ma il ragazzo la mangiava volentieri
Girovagando per l’alpe
Dopo aver lavorato a ricavare il burro, Giannino era libero fino al tardo pomeriggio e ne approfittava per scoprire tutti i segreti di quei luoghi straordinari, dove la natura era ancora intatta; lo accompagnava Gigetto, un suo cugino di soli cinque anni nipote del malgaro (Riccardo e la Nena erano i nonni paterni), anche lui mandato lassù in “villeggiatura”.
A Giannino, che andava in giro sempre di corsa, un’anziana cugina aveva confezionato appositamente per quell’estate un paio di scarpett molto comodi; il ragazzo li calzava sempre, anche quando i prati erano umidi, e così spesso aveva i piedi bagnati. I due cugini percorrevano in una mattinata anche chilometri, andando a vedere le altre malghe (numerose sul grande colle) e, se il tempo era sicuro, non rientravano a mezzogiorno per il pranzo. Avevano infatti scoperto che gli alpini, addetti al trasporto coi muli del materiale per la costruzione della seggiovia, mangiavano tutti i giorni una pastasciutta molto ben condita e ne avanzavano alcune porzioni: e allora perché non approfittarne?
Uno dei passatempi preferiti di Giannino e Gigetto consisteva nel far rotolare verso valle dei massi (sotto si vedeva il lago di Santa Croce); era divertente vedere come aumentava la loro velocità e i salti che facevano nell’urto contro le rocce affioranti (talvolta si sbriciolavano in tanti pezzi con un caratteristico odore di zolfo). Per fortuna non successero mai incidenti: e pensare che sotto c’erano alcune strade (di cui una statale molto trafficata), la ferrovia e il paese.