Il nome di questi biscotti deriva da “busa”, cioè buca nel dialetto bellunese. Questo dolce era molto diffuso, seppure con leggere varianti, in una vasta zona diffusa tra Veneto e Lombardia. Recenti “indagini storiche” hanno però portato a una straordinaria scoperta: il vero bussolà è nato a Maras!
Era il 4 dicembre 1949 quando Giuseppe Dal Pont, classe 1932, decide, assieme al padre Riccardo, di recuperare l’attività di venditore ambulante di biscotti; fino ad allora aveva fatto il contadino. Nella casa di Maras c’era un forno, del quale si servivano anche altre famiglie, per fare il piano bianco o quello di sorc, fatto con sola farina di granoturco “che era duro ma saporito”, come testimonia Giuseppe. Negli anni precedenti, Riccardo aveva iniziato a fare biscotti e andava a venderli con la gerla a Sospirolo e su per l’alta Valle del Mis, in particolare a Tiser, ma poi aveva smesso. Quel giorno di Santa Barbara, che per Sospirolo, era una festa importante, decidono di riprovarci.
“Avaron fat 150 biscotti e son partidi a piè e con la zesta par andar a Sospiroi”. Il paese era povero “però la gente co la è gnesta fora da messa la à vist al banchet e i à fat fora tut in zac e tac! I biscotti se i vendea a 10 centesimi”.
Giuseppe continua a fare il contadino ma – la domenica e quando ci sono le sagre a Maras, Gron, Oregne e Mis (Santa Giuliana) – prepara i bussolà e si organizza con un banchetto di pochi metri. È in questo periodo che ha il colpo di genio: inventa il bussolà da Cresima. “Quando che era la Cresima se fea i bussolà col bus, grandi. Prima ghe n’era un grand e po sempre pi picioi e se fea na corona. E i santoi i ghe la comprea intiera al fioz”.
Qualche tempo dopo comincia a girare con la bicicletta e con le ceste ed arriva fino a San Gregorio: mai andat tant lontan! Nel 1951 a Giuseppe viene mente di adoperare l’Ape e comperare qualche dolciume, caramelle e torrone, da vendere assieme ai bussolà e poi… avanti; ma questa è la storia che continua fino a oggi.
Ma i bussolà com’erano fatti?
Ghe n’era farina, buttiro, zucchero, qualche olta i ovi e come lievito ammoniaca in polvere. Ghe n’era col bus e senza; fati a esse, a mandola e quei co le cape e, par far questi, me ere fat al stamp. E dopo ghe n’era i tiradur coi bagigi e tant tant zuchero. E po… ghe n’era anca al dugo del bussolà!
Recentemente il gruppo delle Formiche Rosse lo ha riproposto in un’edizione della manifestazione Expo Misteri (di Pro loco “Monti del Sole” e Comitato S. Bartolomeo) proprio a Maras, dov’è nato. In che cosa consisteva il gioco è presto detto: si prendeva un sacchetto con 90 palline numerate da 1 a 90 e si pagavano 50 cent, a puntata. Si estraevano tre palline e, se la somma risultava inferiore a 100, si vincevano 2 bussolà pari al valore di 20 cent, ma se la somma risultava superiore a 100, il giocatore perdeva partita e soldi. “E ghe n’era anca che imbroiea, che scondea il numero co la ongia del det; ma mi me acordee quasi sempre”. Parola di Giuseppe Dal Pont che coi bussolà al à catà al oro a Maras!