Nel mezzo del cammin di nostra vita può accaderci di smarrire la diritta via, in quella via di starci benissimo, o magari di pensare che ce n’è un’altra, di via, che ci piacerebbe di più. Può succedere che a trent’anni, con una laurea triennale in psicologia e una in fisarmonica, con una professionalità solida e riconosciuta come musicista, tu decida di dedicarti a quel qualcosa che ti è sempre appartenuto ma che ad un certo punto hai capito di amare: la tua voce. Luigi Budel, 35enne di San Gregorio nelle Alpi, la sua nuova via ce la racconta così.
Luigi, come è stato che ad un certo punto hai cambiato cosi radicalmente strada?
In realtà io ho sempre recitato, letto, cantato. La voce è uno strumento, e a me piace la musica in tutte le sue forme. Ad un certo punto ho solo focalizzato che mi piaceva particolarmente e che volevo dedicarmici con più attenzione.
Si comincia sempre dall’inizio, quindi, e come è stato il tuo?
Il mio è stato parlarne con la mia famiglia, che mi ha sostenuto e aiutato in quest’avventura: ho studiato in scuole specializzate nel doppiaggio a Bologna e poi a Roma. Ora vivo lì e cerco di muovere i primi passi in un mondo che mi affascina sempre di più.
Il doppiaggio è la voce dei personaggi che vediamo nei film, vero?
Non solo! La voce dei personaggi principali sono quelle che noi ascoltiamo con più attenzione, ma sentiamo, senza rendercene conto, anche voci fuori campo (voice over), come un telegiornale, un saluto, un breve dialogo di fondo o la voce narrante o, ancora, voci di attori che fanno le comparse (brusio), ad esempio gente che parla in secondo piano o il cameriere al bancone che saluta il cliente. Tutto nel cinema viene doppiato. Noi facciamo quello.
Come si sceglie una voce per un personaggio?
È compito del direttore del doppiaggio. Per lo spettatore sarà normale che quel personaggio abbia proprio quella voce lì, e il volto di quell’attore. La voce ha un impatto sul nostro subconscio molto più forte di quel che pensiamo: riuscite a immaginare Anthony Hopkins con un timbro diverso da quello che da trent’anni gli dà Dario Penne? Quando sentiamo una sua battuta sappiamo già che quella voce ha il volto di Hopkins.
Però non è che i doppiatori si conoscano molto, non sono famosi.
Solo qualcuno, in effetti. Il lavoro del doppiatore sfuma in quello dell’attore ma è fondamentale per la resa del film doppiato in italiano.
Come si svolge esattamente un doppiaggio?
Se si parla della parte riguardante esclusivamente l’attore che deve incidere, il doppiaggio si svolge in una sala, alla presenza del direttore del doppiaggio in una sala contigua, con altri addetti del mestiere. Spesso si incide da soli, in cosiddetta “colonna separata”. I dialoghi vengono montati assieme in fase di post produzione. Di norma, ma non sempre, ti danno da leggere velocemente la parte prima di incidere. Tu la devi interpretare cercando di andare a sincrono con le labbra dell’attore, mantenendo pronuncia e dizione corretta.
Quando mi hai mandato il messaggio vocale per il nostro appuntamento mi pareva di ascoltare una pubblicità, in effetti!
(ride) Sì, la pulizia della nostra cadenza veneta e la corretta pronuncia delle parole mi sono costate molto studio e fatica, semplicemente perché il nostro modo di parlare fa parte delle nostra storia, del luogo in cui siamo cresciuti ed è qualcosa che ci viene naturale. Il doppiatore deve parlare una lingua che tutti capiscono e sentono propria: la voce di qualcuno che parla italiano.
Da dove si comincia nelle scuole di doppiaggio?
Si comincia con l’imparare la corretta pronuncia, poi si lavora sulla prosodia (tono, accento, ritmo) e sulla modulazione delle voci (a seconda di chi devi interpretare ti servono registri diversi). A questo proposito mi sono molto utili i miei studi musicali: so perfettamente cos’è un tono di voce e sono in grado di modulare la mia molto precisamente, il che non è così facile per i non musicisti.
Tutto torna, quindi.
Tutto, ma davvero tutto. Le cose che ho studiato, l’esperienza con il teatro e il cinema che continuo a coltivare e che ora fa parte del mio lavoro, la disciplina e il lavorare in team (indispensabili per un musicista), il prestare attenzione ai suoni.
C’è molta concorrenza? Come si fa a trovare lavoro in questo campo?
Innanzitutto bisogna stare a Roma o a Milano. Lì ci sono i grandi studi di produzione attorno ai quali gira il lavoro del cinema italiano. Non ci sono agenti, come per gli attori, ma ti devi presentare, mandare i tuoi promo, frequentare l’ambiente. Nel doppiaggio non ci sono vie di mezzo: tranne i casi commerciali (voci celebri per attirare il pubblico), funzioni solo se sei bravo. E bravo lo diventi con tanto studio, impegno, fatica, una buona dose di umiltà e un pizzico di fortuna nel centrare il lavoro che poi ti fa conoscere nell’ambiente.
Occhio alla voce, dunque, e buona fortuna Luigi!