Succede a volte di trovarsi davanti ad un’emozione sospesa. Quello strano modo di stare in cui non sai se sentirai farfalle nella pancia o idee nella testa. In cui non hai ancora deciso da che parte respirare, e dove ti porteranno i tuoi pensieri.
“Die mauer” (il muro), di Mara Moschino e Marco Cortesi, è uno spettacolo che parla alla pancia perché tu risponda con la testa. Due attori dialoganti, scenografia essenziale, rumori al momento giusto, lungo quel filone di story telling così di moda, a teatro e nella scrittura, in questi ultimi anni. Parla del muro. Il muro. Quello famoso, e che non esiste più, grazie a Dio. Quello costruito in una notte nell’agosto del 1961 per tenere i tedeschi dell’est all’est e frenare l’impressionante flusso migratorio in corso da anni. Per tenerli nel modo di qua, quello della DDR (Repubblica democratica tedesca) e impedire loro di andare nel mondo di là, a Berlino Ovest. Mica si moriva di fame, a Berlino Est, no.
C’è un piccolo commovente museo a Berlino, nel quale alcuni ambienti ci spiegano come si viveva all’est: ci sono tristanzuole cucine in formica gialla del tutto simili a quelle di certe vecchie zie di quando ero bambina, Trabant arancioni; persino un allestimento balneare con secchielli e sabbia per ricordarci che all’est si andava anche al mare, leggendo per giunta libri sovversivi come “Il maestro e Margherita”, che si vede appoggiato sulla sdraio. Allora, c’è da chiedersi, perché quelli di là volevano a tutti i costi venire di qua? Perché, se ai bisogni provvedeva uno stato solerte e preciso? Perché, tra mobili e folclore, al museo vedi anche una stanza da interrogatorio della Stasi, la polizia segreta.
Il muro fu costruito per bloccare un’emigrazione sempre più massiccia attraverso la via più semplice e vicina: la città di Berlino. Si ha un bel dire che il muro è un simbolo, un concetto metafisico. Un muro è un muro: cemento, calcestruzzo, alto, largo, protetto. Non puoi superarlo. Ti costringe a restare dove sei e, se sei dalla parte sbagliata, peggio per te. Resta pur lì, caro, in fin dei conti non stai poi tanto male. Tu, la tua famiglia, i tuoi figli mangiate, avete una casa, andate persino a scuola. Cosa ti manca? I diritti, signore. “Vorrei poter ascoltare la musica che voglio, leggere i libri che mi piacciono, scioperare, contestare, discutere in pubblico e confrontarmi con gli altri, senza paura”. I diritti, che dovrebbero essere come le stelle: coprire tutti allo stesso modo, signore. Solo che a Berlino Ovest le stelle brillano di più. Se ti piacciono tanto i diritti, perché non te li conquisti a casa tua, a Berlino Est? Perché, signore, non è che se io sono un impiegato, una maestra, una sarta, un fabbro e chiedo i diritti a uno col kalaschnikov quello mi ascolta, signore. Nei 28 anni nei quali rimase su il muro, più di 200 persone morirono cercando di attraversarlo. Volevano fuggire non dalla miseria, dalla guerra, ma dalla mancanza di libertà. Volevano vivere, non limitarsi ad esistere. Il muro cadde nel 1989, in un memorabile giorno di novembre. Per fortuna basta un piccone e il gioco è fatto, con i muri. Quelli di cemento, intendo.
Lo spettacolo sarà replicato in Veneto il 27 marzo (Bassano del Grappa), il 29 marzo (Ponte di Piave) e il 31 marzo a Treviso.