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La Grande Muraglia

di Enrico Paganin a Roncoi

La Grande Muraglia

di Enrico Paganin a Roncoi
La grande muraglia di Enrico Paganin a Roncoi

A Venezia c’è un detto “El gà el mal dea piera” (ha il male della pietra). Quando è riferito ad una persona, sta a significare due cose: un individuo che investe tutti i suoi guadagni nell’acquisto di appartamenti o case, oppure una persona che ha i calcoli renali. Qui a Roncoi ho conosciuto un terzo significato: “ha la pietra incorporata nel sangue”. Adesso vi spiego…

Prendendo la pedemontana superiore per andare ad Alconis, non potete fare a meno di imbattervi sulla sinistra, prima di giungere alla “Cava dei Tonet”, in una GRANDE MURAGLIA. Se per costruire quella famosa, milioni di cinesi hanno impiegato centinaia d’anni, questa invece è stata eretta in poco tempo e da una persona sola. Permettete che vi presenti Enrico Paganin.

Classe 1935, ha 85 anni portati magnificamente… forse anche perché con qualsiasi tempo si alza alle quattro della mattina. Non sta mai fermo, adesso che ha finito con la pietra intaglia slitte e sgabelli. Mi racconta che, dopo essere stato in Svizzera per 17 anni ed aver fatto il contadino, partitì per l’ Africa, che ancora ama e ricorda volentieri; lì ha contribuito alla costruzione di caserme e… forse è proprio lì che è rimasto “contagiato” dalla “malattia la pietra”, che ha iniziato non solo ad entrargli nel sangue, ma gli si è incastrata nelle mani, tanto da non riuscire più a far a meno di costruire con questo materiale semplice e povero.
Ritornato a Roncoi, ha quindi dato sfogo al uo estro creativo costruendo la sua personalissima Grande Muraglia.

Non stupitevi se ci sono nelle scritte degli “orrori” di grammatica, d’altra parte alla sua età credo possa permettersi ormai di tutto e forse la grammatica gli interessa meno della pietra. Magari a qualcuno potranno anche infastidire quei falli cosparsi un po’ dappertutto, o quei disegni scolpiti nella pietra di donne discinte, ma fanno parte certamente di quella cultura che Enrico ha portato a casa dall’Africa.

Quando sono andato a trovarlo ho trovato un uomo tranquillo, placido e sempre sorridente. Due birre sul tavolo gli avrebbero dato sostentamento per la giornata, oltre naturalmente a una buona pastasciutta. Mentre Enrico mi porta a visitare il suo “Fortilizio”, ho notato come passando accanto a una colonna, la accarezzasse con amore, quasi fosse una figlia; leggendo telepaticamente il mio pensiero, mi dice orgoglioso “vedi, tra 2000 anni questa colonna e questa casa ci saranno ancora”. E tutto il senso di questa frase è inciso su una pietra: “come un Faraone io voglio essere seppellito qui, questa è la mia piramide”.

Se hai passione per quello che fai, un po’ di pazzia è forse inevitabile e necessaria perché la parola “passione” significa anche esagerare, in qualche misura. Ma alla fine, queste piccole follie, sono quello che resterà di noi nei secoi. Grazie Enrico per questo insegnamento.

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