Avevo solo sei mesi quando sono stato colpito dal virus della poliomielite. Sono nato nel novembre 1956. La corsa in ospedale, portato direttamente dal medico di famiglia insieme a mia madre. La diagnosi infausta: “Suo figlio ha contratto la polio ad entrambi gli arti inferiori e lievemente al braccio sinistro”. La disperazione di mia madre dopo che le avevano detto che non avrei mai camminato autonomamente: le mie gambe non mi reggevano più, non rispondevano a nessun stimolo.
Mio padre lavorava in Svizzera: in galleria gli è stata data notizia dalla ditta dove lavorava. Sono stato messo in isolamento in ospedale, solamente mia madre poteva assistermi.
Passato il periodo di isolamento e stabilizzate le mie condizioni fisiche, i medici consigliarono i mie genitori di portarmi in Ospedale a Santa Maria delle Grazie a Venezia.
Questa struttura ospedaliera accoglieva i bambini polio del Veneto.
Sono stato ricoverato per un lungo periodo al fine di recuperare il più possibile le forze che mi erano state risparmiate. Quando mia madre, con mia zia, venne a trovarmi, subito non mi riconobbe, eravamo tanti bambini piccoli seduti per terra. Una suora mi prese in braccio e mi consegnò tra le braccia di mia mamma ancora perplessa. Mi guardò attentamente insieme alla zia, poi scoprì un piccolo segno sotto l’orecchio sinistro e da quel segno mi riconobbe. Era passato un anno dall’ultima volta che mi aveva visto.
Successivamente fui trasferito all’Ospedale I.O.E. (Istituto Ortopedico Elioterapico) che si trovava a Santa Fosca, piccola frazione del Comune di Selva di Cadore. Questo Istituto era diretto dal professor Giuliano Giuliani, ortopedico esperto proprio sulla chirurgia ortopedica sulla polio. Ho trascorso parecchi anni in questo ospedale, ho subito molteplici interventi chirurgi al fine di poter deambulare con l’ausilio di tutori, oltre che sedute di fisioterapia per ricuperare il più possibile. Piano piano sono riusciti a mettermi in piedi anche se il percorso è stato molto lungo oltre che doloroso. Ho fatto un anno intero a letto con entrambe le gambe ingessate e il gesso che mi arrivava al bacino. Qui ho passato la mia infanzia, ho trascorso i miei Natali, la mia prima Comunione e la mia Cresima. Ho frequentato la scuola elementare sempre in ospedale. Proprio in quegli anni è stata istituita la scuola in ospedale proprio per noi polio, visti i tempi di degenza molto lunghi.
Finite le elementari fui trasferito al “Don Gnocchi” di Parma per fare le medie, successivamente al “Don Orione” a Milano per le superiori. In questi centri, oltre che frequentare la scuola, ero seguito anche dal punto di vista medico per la tua patologia.
Finita la scuola, sono tornato definitivamente a casa. Purtroppo la mia infanzia e la mia adolescenza le ho trascorse sempre lontano da casa, lontano dai miei affetti più cari. Non è stato certamente facile inserirmi in un contesto nuovo, non conoscevo nessuno del mio paese, non conoscevo le abitudini della mia gente, osservavo i loro sguardi quando mi incontravano, sapevano chi ero, ma tanti non mi avevano mai visto.
Sì, è vero: non ho vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza come gli atri bambini, le parole “correre, saltare, tirare un calcio al pallone” non fanno parte del mio vocabolario; altre parole le conosco invece molto bene: “ospedale, sale operatorie, letto, dolore”.
I bambini polio hanno bruciato le tappe, sono diventati grandi subito, hanno dovuto diventare dei guerrieri, dovevano superare mille difficoltà, non dovevano mollare mai, solo loro erano padroni del proprio futuro, non si sono arresi mai. Credo che grazie alla loro forza, alle loro battaglie civili, oggi le persone con disabilità sono più tutelate e più considerate. I poliomieliti sono stati una risorsa per la società e non un peso, tantissimi bambini di allora, oggi uomini adulti, oltre che essere genitori e nonni, sono impegnati in tantissimi settori della società.
La mia esperienza di vita da poliomielitico mi ha insegnato tante cose, ma una cosa su tutte: il senso della vita. Che senso ha la mia vita se non posso aiutare gli altri? La mia malattia mi ha negato tante cose, ma mi ha donato la forza di credere che se tutti noi, tendessimo la mano verso l’altro senza se e senza ma, sicuramente avremmo una società migliore.
LA POLIOMIELITE
La Poliomielite è una malattia altamente infettiva che colpisce il sistema centrale e in particolare i neuroni motori del midollo spinale. È causata da un virus, il Poliovirus, appartenete al generi Enterovirus. Era spesso chiamata Polio o Paralisi Infantile, perché colpiva soprattutto i bambini. Gli effetti di questa malattia, sono noti fin dall’antichità. Dipinti e sculture egizie raffigurano individui che presentano i segni caratteristici della malattia
Durante la prima metà del XX secolo, la Poliomielite uccideva e paralizzava più di 500 mila persone in tutto il mondo ogni anno.
I reparti di terapia intensiva hanno avuto la loro origine nella lotta contro la Polio. La maggior parte degli ospedali avevano limitate disponibilità di polmoni d’acciaio per i pazienti non in grado di respirare autonomamente,; furono istituiti centri destinati ai ricoveri per Polio.
Le epidemie di Polio non hanno solo cambiato la vita dei sopravissuti, ma hanno provocato profondi mutamenti culturali. Si è creata maggiore sensibilità nella popolazione riguardo diritti sociali e civili delle persone con disabilità.
I vaccini antipolio furono tre: il primo sperimentale fu il vaccino Koprowschi all’inizio degli anni 50, poi fu la volta del vaccino Salk, sempre sperimentale nel 1955, e successivamente il vaccino Sabin nel 1957, autorizzato definitivamente nel 1962 e rapidamente diventato l’unico vaccino antipolio utilizzato a livello mondiale.
Anche nella nostra provincia negli anni 60 fu costruito un ospedale per Polio: lo I.O.E. (Istituto Ortopedico Elioterapico) a Santa Fosca, piccola frazione del comune di Selva di Cadore. Il centro è rimasto aperto fino agli inizi degli anni 70. In questa struttura furono ricoverati diversi pazienti affetti da Polio, provenivano da tutta la Regione e anche da tutta Italia.