C’era un tempo non troppo lontano in cui la piazza svolgeva un ruolo di fondamentale importanza. Era il luogo di aggregazione, essenziale, capace di fondere in sé tradizioni, famiglia, amici e una dimensione quotidiana di comunità e appartenenza. A partire dal secondo dopoguerra e con il boom economico, nelle piazze italiane iniziano a comparire i primi bar, che guadagnano da subito popolarità, diventando per molti quasi una seconda casa. E così è stato anche per l’odierna Pieve di Limana, capoluogo storico della Pievania di Limana e poi del Comune stesso fino al 1950.
Temistocle Battist detto Temisto come molti altri bellunesi era emigrato in Francia e in Belgio per cercare fortuna, mentre sua moglie Caterina Possamai era andata a Milano a lavorare come balia. Il sogno di Temisto era riunire la famiglia e assicurare un futuro alle sue tre figlie, Giovannina, Teresita e Carla, affinché non fossero obbligate anch’esse a lasciare il paese per guadagnarsi da vivere. Così, nemmeno trentenne, torna a Limana, dove, insieme alla moglie, apre il bar del paese, che ne diventa presto il cuore. Dal venerdì alla domenica il locale era sempre pieno, soprattutto dopo la Messa, e d’estate accorrevano i turisti milanesi. Il calcio balilla spopolava tra i più giovani, mentre i più adulti si sfidavano in lunghe partite a carte: tressette, scopa e briscola e chi perdeva pagava un giro di ombre a tutti.
Nel giardino due curatissimi campi da bocce di ghiaia bianca. Elvi, il nipote dei due proprietari allora bambino, ricorda ancora vividamente il rumore delle bocce che battevano sulle tavole fino a tarda notte. Ai tavoli c’era sempre qualche signora paziente che attendeva per ore lo squillo della grande cabina telefonica verde e grigia, desiderosa di sentire un parente lontano con il quale si era data appuntamento per la giornata. Il sabato sera il paese si riuniva davanti alla televisione, una rarità all’epoca. Da Sanremo ai balli di Rita Pavone, era un lusso che pochi si potevano permettere in casa. Serate piacevoli e vivaci, in cui la maggior parte fumava dentro al locale – si diceva che quest’abitudine difendesse dal tifo – e più di qualche uomo alzava un po’ troppo il gomito, per la disperazione delle mogli che attendevano con la cena pronta in tavola. Temisto e Caterina arrivano così all’età della pensione, ma nel frattempo le loro figlie prendono strade diverse. Giovannina apre una bottega di alimentari in paese, Teresita e Carla si trasferiscono per amore.
Correva l’anno 1968, Bruna Miglioranza e Alfiore Venzo detto Fiore decidono di lasciare il paese dove erano emigrati, la Svizzera, e tornare a Belluno con i loro tre figli, Tiziana, Fabio ed Enrico. In modo inaspettato, dopo due giorni dal rimpatrio, i due coniugi diventano i nuovi proprietari del bar. Bruna si rimbocca le maniche per imparare un nuovo mestiere da zero. Ai tempi – ricorda Bruna – un’ombra di vino costava 35 lire e c’era sempre il problema del resto di 105 lire, perché, per un motivo o per l’altro, le ombre da pagare erano sempre tre. Tanti le chiedevano annacquate, perché il dottore si era raccomandato di bere meno alcol. Il vino veniva venduto in caraffe di vetro vidimate dallo Stato, per garantire che la distribuzione del prodotto fosse secondo la quantità stabilita dalla legge, così – aggiunge Bruna – se qualcuno diceva di aver bevuto tre litri di vino, almeno poteva provarlo! Cambiano le abitudini e cambiano i tempi. Negli anni i campi da bocce, la televisione e il telefono, strumenti che ormai ognuno aveva in casa, vengono utilizzati sempre meno, fino alla chiusura del locale nel 1987. Il bar però resta ancora nel cuore della proprietaria, che ricorda con piacere i bei rapporti con la gente e i personaggi tipici che frequentavano il locale. E dopo le tante serate trascorse tra un asso e una briscola, oggi Bruna non rinuncia a una partita contro il suo tablet, che però – afferma – gioca troppo veloce. Con Bepi era diverso, lui stava ore a pensare a una mossa.