Da tempi immemorabili, per consentire ai viandanti (ma anche a carri e merci) di attraversare il Piave e di spostarsi dal territorio di Sedico a quello di Trichiana (e viceversa), esisteva un passo a barca nella località che ha poi preso il nome dal traghetto stesso.
Mentre il toponimo La Barca sta a indicare il luogo sulla sponda destra (in comune di Sedico) dove per secoli, oltre al porto, ci furono l’abitazione dei traghettatori e l’ormeggio dei loro natanti, San Felice, sulla sponda opposta, è invece l’antico villaggio, un tempo talmente importante da aver dato il nome a quella Pieve che ai giorni nostri è la Parrocchia di Trichiana.
L’importanza del traghetto derivava dal fatto che proprio di lì passava la via più breve – percorsa da mulattieri, mercanti, pellegrini, contrabbandieri e altre persone – che collegava Venezia (e la pianura veneta) alla Germania, attraverso Innsbruck, Bressanone, Brunico, la Val Badia, la Val Parola, Andraz, Agordo, Sedico, La Barca, San Felice, il valico di Praderadego (o la più malagevole mulattiera del San Boldo). Poco distante (a Triva) passava inoltre l’antica via romana che collegava Feltre con Belluno.
Periodicamente il Consiglio dei Nobili di Belluno, prima, e l’Amministrazione dello Stato, poi, appaltavano, oltre alla navigazione dei legnami nei vari fiumi e torrenti, anche il diritto di traghettare persone e cose sul Piave.
Nel 1507 il notaio-poeta Bartolomeo Cavassico, di Belluno, rivolgeva una supplica (richiesta) all’autorità che governava il nostro territorio, affinché gli fosse rinnovata la concessione del porto over transito de la barca per Piave sotto San Felise in passato data a suo missier (suocero) e a suo padre.
Sosteneva, anche se in realtà porto e traghetto esistevano da chissà quanti secoli, che suo “… missier fo prima causa et inventor de esso porto cum grandissima utilità de questa Magnifica Comunità … perché vignando de Agort per andar in Trevisana tuti, over la mazor parte, fanno lo transito suo lì al dito porto”.
Verso il 1550, il dotto bellunese Pierio Valeriano, in un passo della sua dettagliata descrizione (qui tradotta dal latino) circa il corso del Piave, così riferiva:
“Proseguendo sulla via rivierasca, tre stadi circa dopo Limana si trova la chiesa di san Felice dove c’è un traghetto con barche spinte da poppa solo con pertiche, senza che si usino i remi, utile in particolare agli Agordini che discendono alla pianura trevisana attraverso le gole di Sant’Ubaldo”.
Nel corso del ‘600, avendo la famiglia dei conti Brandolini, signori della Contea di Valmareno, acquistato un pozzo nelle miniere di rame della Val Imperina (alle porte di Agordo), si ebbe un considerevole aumento del traffico a San Felice. Infatti, oltre ai muli che, provenienti da Cison e diretti ad Agordo, passavano con la barca carichi di vino, derrate alimentari, vestiario destinati ai minatori, c’era un grande via vai di mulattieri che scendevano dall’Agordino con il vetriolo (da cui si ricavava il rame) trasportato a dorso di mulo in sacchi (da circa 120 kg ciascuno) fino al porto di San Felice. Qui (dove c’erano un grande magazzino e un’osteria, pure dei Brandolini) il vetriolo, sistemato in apposite botti (di circa 12 quintali ciascuna), veniva caricato su zattere e poi spedito in grandi quantitativi fino a Nervesa e da lì coi carri fino a Venezia (un mercante veneziano da solo ne acquistò ben 1006 quintali).
Data la sua importanza, il porto di San Felice era stato convenientemente attrezzato (pure con una banchina di carico) e da lì partivano anche passeggeri diretti alla pianura veneta (o a Venezia) in zattera. Dirigeva tutte le operazioni (immagazzinamento, carico e spedizione del vetriolo) per conto dei Brandolini l’ostessa Francesca Polla, donna molto energica abituata a trattare con zattieri (cui faceva la paga) e mulattieri.
Dal 1684 al 1687 spedì 103 botti di vetriolo, per un totale di 15 tonnellate, in 32 viaggi. Legate al porto di San Felice e ai suoi natanti ci sono poi due interessanti cronache che saranno raccontate in futuro: una, riferita agli inizi del ‘700, parla di una chiesetta voluta alla Barca dalla contessa Brandolini; l’altra di un avventuroso salvataggio effettuato nel 1811 a Belluno col più grande dei natanti.