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Il pittore della neve

Toni Piccolotto

Il pittore della neve

Toni Piccolotto

La neve affabula con la magia del suo fascino e gli artisti, in modo particolare i “montanari”, non possono rimanervi immuni; se poi si rimane ammaliati come Toni Piccolotto, allora è fatta: ad essa si dedica tutta la vita. Piccolotto (Lentiai, 1903 – Nevegal, 1970) ne ha raffigurato i cangianti mutamenti di toni, le trasparenze, le luci e le ombre, ma soprattutto ne ha narrato i profumi, i silenzi, i vuoti, la storia apparentemente immobile, perché priva della presenza umana.

Si tratta quindi di una scelta di vita dettata in parte da una vocazione romantica contemplativa e in parte da un’affinità di idealità, di percezione, di sfida. Piccolotto, come il suo maestro Cima o il suo amico Solero, è un artista che si identifica con la montagna, la vive in prima persona e la interpreta come un alter ego con cui confrontarsi, interrogarsi, per dare un senso alle cose. Il periodo invernale poi, con le sue asprezze, diventa un ulteriore motivo di meditazione sulla solitaria e fragile condizione umana rispetto all’emozionante spettacolo naturale.

Piccolotto, con le sue pennellate leggere e corsive, riesce a narrare emozioni visive ed intime, attento ai toni e alle trasparenze, descrive la natura, soggiogato dalla sua bellezza e da un forte sentimento d’amore, perciò i suoi quadri risultano delicati e armoniosi nell’insieme, lirici e fenomenici nella resa pittorica dei soggetti. L’artista è attento alla costruzione spaziale e prospettica delle vedute, è puntuale nel calibrare le pennellate e nel dosare la luce, per dirlo in una parola è più tonale. In lui, fin dalle opere giovanili, si può percepire uno stupore incantato di fronte alla natura, una rispettosa ed intima riflessione di chi si confronta quotidianamente con essa. Piccolotto sceglie la via tracciata dall’impressionismo, fatta di un rapporto simbiotico con il paesaggio, a diretto contatto, per riuscire a carpirne i più intimi segreti.

I dipinti, in particolare quelli invernali, sono venati di melanconia, intrisi di serena solitudine, come se l’artista, pacificato da tutte le tensioni, ritrovasse solo nel paesaggio quella dimensione consolatoria e distesa che poteva dare significato al suo esistere. Fin dagli inizi Piccolotto ha ricercato un linguaggio sommesso, quotidiano, che fosse espressione di un lirismo interiore assolutamente personale. Lo vediamo in “Stabie” o in “Digonera”, in cui il fraseggio delle pennellate trasparenti e leggere corrisponde ad un’intima relazione tra pittore e paesaggio, un canto struggente alla bellezza della natura. Gli equilibri cromatici sono stemperati dai rapporti tra luci ed ombre, preziosi nel dosaggio dei toni, tesi soprattutto a definire il senso di immensità dello spazio.

Pare quasi che la visione acquisti un valore universale, perché il tempo è bloccato, ogni moto è fermato, permane soltanto un sentimento elegiaco e stupefatto. Le tinte cristalline risultano più calde alla fine degli anni Trenta, quando la luce acquista una velatura dorata che si diffonde in ogni elemento e rende l’atmosfera più luminosa e dolce, più intima e profonda. Il canto di Piccolotto si fa melodioso e sciolto e la neve, raffigurata con tonalità azzurrine, sembra fondersi con il cielo, in una tensione verso l’infinito. La presenza dell’uomo è sempre accennata per mezzo di emblematici riferimenti, in particolare con la presenza delle “mede”, covoni di canne ricoperte di neve, mute e desolate testimoni di una vita che ha rallentato i suoi ritmi, in attesa della rinascita primaverile.

Spazio, tempo: pare tutto dilatato, perché filtrato attraverso le emozioni autentiche di un’esistenza, quella di Piccolotto, votata alla pittura, senza condizionamenti o compromessi, senza ripensamenti, convinto di dare significato al proprio essere al mondo soltanto attraverso di essa. Le pennellate fluenti e libere degli anni Cinquanta e Sessanta tendono a far prevalere l’aspetto tonale d’insieme, con una particolare predilezione per le atmosfere piuttosto che per la descrizione dei luoghi, cosicché appare in modo palese l’evoluzione intercorsa nell’artista, tesa ad esprimere un’intensa corrispondenza di sensi, in una comunione perfetta di ideale e di vita con la natura, tale da trovare Piccolotto pronto all’incontro con “sora morte” proprio là, davanti al cavalletto, in mezzo alla neve.

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