Giornata di festa si prepara per questo giorno che coinvolge tutto il paese. Sono cinque anni che Toni e la Maria (uso nomi convenzionali) i se parla (solche parlarse però o al massimo scriverse…) e, adesso che le rispettive famiglie hanno dato il loro benestare, finalmente si sposano.
Toni è tornato dalla Svizzera solo pochi giorni fa e pertanto bisogna far presto a officiare le nozze perché deve ritornare in breve tempo nel cantiere dove svolge il lavoro di carpentiere. Per non perdere il posto di lavoro, non può certo assentarsi per tanto tempo: è un buon lavoro che una paga che gli ha permesso di sistemarsi un po’ la casa paterna, anche se questo gli è costato stare per parecchi mesi lontano dalla famiglia e sopratutto dalla “morosa”. Ma, adesso che si sposa, avrà la possibilità di portarla con sé nel paesino vicino al cantiere dove lavora e sarà anche l’occasione per fare il viaggio di nozze (dal paese al cantiere) e magari trovare anche per lei un lavoretto in qualche fabbrica della zona.
Ma torniamo alla festa che si sta preparando! In famiglia è già da qualche tempo che hanno allevato qualche gallina e qualche coniglio in più perché siano pronti per questa occasione. Il pranzo si farà presso una trattoria locale (a S. Gregorio la maggior parte andava da Diletto) con prodotti generalmente forniti dalle famiglie degli sposi, come alla volte anche il vino; tutto questo per poter risparmiare qualcosa visto che il matrimonio comunque costava!
Si provvedeva dunque agli inviti, che in genere erano ristretti ai parenti e pochi amici del paese o a qualche collega di lavoro; poi non potevano mancare i padrini che erano considerati degli ospiti di riguardo a tal punto che durante il pranzo sedevano a lato degli sposi.
Ed eccoci al giorno delle nozze: la sposa, accompagnata dal padre, e lo sposo, dalla madre, partivano dalle rispettive case, rigorosamente a piedi (non vi erano altre possibilità) per incontrarsi nella chiesa dove generalmente il futuro marito doveva attendere la futura moglie che immancabilmente (quante arrabbiature per questo da parte di don Evaristo!) arrivava in ritardo, mentre sulla piazza si riversava buona parte del paese per vedere gli sposi e fare loro gli auguri (e le donne per fare i commenti sull’abito della sposa).
Finalmente la sposa arriva, bella, tutta vestita di bianco; accompagnata da parenti e amici entra in chiesa dove lo sposo sta aspettando già da un po’. È sicuramente un po’ emozionata, ma la vicinanza della “comare” la tranquillizza.
Qualche volta accadeva che al “compare”, per farlo soffrire un po’ durante la cerimonia, gli amici nascondessero all’interno del cuscino, dove si doveva inginocchiare, dei sassolini in modo che non potesse trovare pace nel posizionare le ginocchia senza ammaccarsi così da indurlo continuamente a muoversi. Una volta don Evaristo, vedendo che tal “compare” continuava a dimenarsi, gli disse : “Ma atù che da remenarte continuamente, al par che al sposo te sia ti da quant che te se agità!”. Chiaramente a questa battuta gli amici sono scoppiati a ridere.
Poi il momento più emozionante, quando, durante lo scambio degli anelli, Piero Bellus intonava con l’organo la dolce musica dell’Ave Maria di Schubert; allora generalmente si vedeva qualche lacrima solcare il volto della sposa e magari anche di qualche altro parente.
Per i bambini del paese invece il momento più bello era quando finita la santa messa, gli sposi uscivano sul sagrato perché gli invitati gettavano su di loro i confetti. Allora era una gara per accaparrarsi più confetti possibile a costo anche (visto che il sagrato era ricoperto di ghiaia bianca) di trovarsi in bocca qualche sasso al posto del confetto con il rischio di rompersi magari un dente!
Poi tutti si avviavano verso la trattoria per abbandonarsi a quella gran libagione, che si aspettava da tempo, visto che allora era molto scarsa la possibilità di andare in ristorante a differenza d’oggi.
Si incominciava con l’antipasto a base de “luganega e formai de caselo” con qualche sottaceto sempre fatto in casa (in genere alimenti forniti dalle famiglie degli sposi), per passare poi magari (cosa abbastanza rara) anche a due primi con l’immancabile pasticcio. la carne generalmente a base di “pita e conicio ruspante” o un po’ di arrosto, contorno di verdura (insalata “dei nostri ort”) e patatine fritte (“dei nostri camp”). Alla fine arrivava la torta con sopra la statuina raffigurante gli sposi, realizzata invece in pasticceria.
Verso la fine del pranzo, arrivava l’ora della lettura dei bigliettini degli auguri, a San Gregorio compito di don Evaristo. Si iniziava la lettura, stando tutti attenti ai mittenti, a che cosa avevano scritto, ognuno aspettando la lettura del proprio. Ogni tanto qualche testo in rima o poesia e poi alcuni testi più spinti dove in genere gli amici finivano con l’augurare allo sposo un’infinità di figli maschi.
Finito il pranzo tutti quanti a vedere la casa degli sposi, che generalmente consisteva solo in una camera risistemata per l’occasione e la necessità, ricavata nella casa paterna. Quella era anche l’occasione per fare le foto agli sposi e a tutti gli invitati.
Alla sera era uso fare anche la cena sempre nella stessa trattoria, magari si faceva un po’ più tardi in quanto molti invitati, nel tardo pomeriggio, magari erano dovuti assentarsi per andare a casa a “guarnar o ‘ndar al caselo”. Al ritorno, tutti insieme a mangiare una buona minestrina “col fegadin” (che era poi quello delle “pite” e dei “conici” mangiati a mezzogiorno ); come secondo, siccome bisognava stare leggeri, della carne lessa che guarda caso era ancora di gallina!
La festa comunque finiva sempre presto perché il giorno dopo bisognava alzarsi presto per riprendere quei lavori di casa, stalla e campagna mentre solo agli sposi era data la possibilità di stare a letto un po’ di più. Solo qualche amico dello sposo si sarebbe fermato fino a quando gi sposi andavano a letto per potere fare ancora qualche scherzo in maniera che i nuovi coniugi trovassero delle difficoltà per poter accedere al loro “nido” nella prima notte di nozze.