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Il cortivo dei Branchèr

storie di un piccolo micromondo

Il cortivo dei Branchèr

storie di un piccolo micromondo
La villa deli Brancher a Meano negli anni '60 vista dal cortile

Ricordo quelle ormai lontane estati degli anni 70 dai miei nonni paterni. Si passava il tempo giocando fino a sera inoltrata con gli amici di una stagione, giunti da Milano o da Torino per villeggiare dai loro parenti nel piccolo borgo di Meano. Giornate piene, estenuanti ma bellissime, trascorse nel cortile dell’antica villa padronale dove vivevano mia nonna Giannina, mio nonno Dante e mia bisnonna Lisetta.

Un cortile grande grande, a ghiaino con qualche chiazza di prato, cinto tutto attorno da antichi rustici un po’ malconci. Fabbricati di servizio, stalle, “tiede”, solai, “porteghi” per i carri e depositi, in un microcosmo che sa ancora di Medioevo, stridente con la lunga ed elegante facciata seicentesca della villa.
A sud del bel portone di accesso in pietra datato 1641 scorre serpentina la bella via San Bartolomeo, i cui portoni arcuati a tramonto conducono in cortili aperti verso la campagna, un tempo di proprietà del convento feltrino (ora demolito) di Santa Maria del Prato. Di questa via il cortile sembra quasi esserne la testa, unico completamente chiuso, quasi un fortino. Un piccolo micromondo conosciuto da tutti come il “cortivo dei Brancher”.
Quarant’anni dopo eccomi a rivivere quei luoghi, quegli spazi in una maniera del tutto differente. A raccontarmeli questa volta sono degli “amici” che mai avrei immaginato di trovare: decine, forse centinaia di antichi documenti ancora miracolosamente conservati presso l’archivio di stato di Belluno; ogni volta è un viaggio nuovo nelle microstorie di chi quei luoghi li ha costruiti e vissuti, mattoncini di quel piccolo borgo sopravvissuto a guerre, bombardamenti ed a “civiche bellurie”.

Recentemente mi sono imbattuto in un documento relativo proprio al “cortivo dei Brancher”. Si tratta di un atto del notaio feltrino Canton Michele che porta la data 24 gennaio 1558. Siamo nella cancelleria del consiglio di Feltre, in Piazza Maggiore, dove i fratelli Giovanni, Bernardino e Nicola Vieceli si lamentavano di come il cortile in questione fosse utilizzato quasi esclusivamente da messer GiovanniBattista (o Zambattista o ZiuanneBattista o semplicemente Batta) Vieceli Brancher, nonostante parte di esso fosse di loro competenza come da lascito testamentario del loro padre Sebastiano. Per evitare liti si rivolsero a due dei più eminenti personaggi feltrini di allora: il nobile Vittore Villabruna e l’illustre dottor Bonifacio Pasole. Questi ultimi chiesero pertanto al Giovanbattista Brancher di rimborsare ai fratelli cinquanta Libbre (Lire) oltre che di doversi farsi lui interamente carico di illuminare la chiesetta di San Bartolomeo, dato che al tempo si trovava all’interno del cortile proprio presso la sua casa. Giovanbattista non solo onorò la sentenza, ma anzi, al fine di evitare qualsiasi altra recriminazione, volle pagare il cortile al doppio del valore, saldando il debito parte in contanti, parte in cose e per il residuo in oro. D’altronde ormai i tre fratelli avevano interessi altrove: Giovanni e Bernardino vivevano a Salzan, mentre Nicola stava a Feltre, come famulo, cioè al servizio del nobile Vittore Villabruna nel suo palazzo in quartiere di Porta Oria (l’attuale sede del museo civico feltrino).

Mi par di vederlo il Brancher, altro non aspettava che di poter godere appieno del cortile senza dover convivere con tutti quegli strascichi testamentari che avevano portato a frammentare negli anni le proprietà con lontani parenti. Morto il fratello Antonio qualche anno prima, ora Giovanbattista era anche l’unico ad abitare la grande casa che chiudeva a nord il cortile, all’epoca ancora con portego e “pojolo” in legno. Lui con la moglie Susanna Norcen e i suoi sei figli. Ora poteva cominciare a pensare in grande, poteva immaginare di chiudere il lungo piol in legno e dare alle sue case un aspetto più “contemporaneo”, magari proprio come quel palazzo che gli stessi Villabruna si stavano edificando nella vicina Cassol. E non solo. Ora che tutte le spese delle luminarie della chiesa di san Bartolomeo erano a suo carico, e trovandosi l’oratorio all’interno della sua proprietà, poteva pensare di arricchirne l’altare con una pittura “moderna”, magari di quel Pietro de’ Marescalchi “depentor” di cui tanto si parlava in città e, perché no, facendosi anche ritrarre tra i santi protettori, come usavano far in quegli anni i signori di Feltre. E di stamparne a caldo sui banchi la sua firma: “una cros co le so inziali Zuannebattista Vieceli Brancher”.

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