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Il colore dei sogni

Christian Gazzi - il "Colorist" di Cesiomaggiore

Il colore dei sogni

Christian Gazzi - il "Colorist" di Cesiomaggiore

Orson Welles diceva che i film non sono nastri di pellicola, ma nastri di sogni. Il che, nella concezione primigenia del film nella testa e nella sensibilità del regista che pensa ad una storia e a come raccontarla, è sicuramente vero. Tuttavia, più mi capita di incontrare per “Il Veses” persone che vivono l’ambiente cinematografico, più mi convinco che il cinema è essenzialmente un mestiere, anzi un insieme di mestieri, che tutte le figure professionali coinvolte sono altamente specializzate in una delle fasi della produzione e che è grazie a loro che l’idea prende forma e diventa la sostanza del film che vediamo al cinema. Il “ciak si gira” e la scena recitata, insomma, è solo una delle fasi. Prima ci sono produzione, sceneggiatura, casting, location, organizzazione; poi il doppiaggio, il sonoro, il montaggio, gli effetti speciali e alla fine, subito prima della masterizzazione finale del film per la distribuzione, ciò che rende il film letteralmente quello che vediamo: la fase della color correction, dove il colorist (questo il nome esatto di questo professionista) “colora” il film. Uno dei più importanti colorist italiani è un quarantenne di Cesiomaggiore, Christian Gazzi, che da 20 anni lavora a Roma per le più importanti case di produzione.

Christian, raccontami… non sapevo neanche che esistesse il tuo ruolo nel cinema!
(ride) Non lo sa quasi nessuno, in realtà! Credo sia perché è un ruolo molto tecnico e relativamente nuovo, attinente all’ultimissima fase di post produzione, quando il resto del film è pronto. In pratica si definisce il look del film come pensato dal direttore della fotografia e dal regista. È una fase molto importante perché, letteralmente, confeziona il film come lo vedete. Il risultato è qualcosa di percettivo e fondamentale nella trasmissione dell’atmosfera che il regista vuole dare al suo racconto. È un mood visuale che coinvolge tutto, dagli ambienti agli abiti degli attori. Spesso le scene sono girate a vari mesi di distanza e l’ambiente cambia, io lo uniformo e lo rendo coerente, ma anche studiamo le tonalità per trasmettere certe sensazioni. Una scena di neve, ad esempio, deve trasmettere freddo e quindi lavoriamo sui toni dal grigio ghiaccio al blu. Non ci si pensa, si percepisce.

Che roba! Ma dipende dalla tua sensibilità ed esperienza o c’è un qualche metodo che si impara?
Entrambe le cose, direi. L’esperienza è fondamentale, più lavori e più ti fanno lavorare perché affini la conoscenza stilistica del tuo interlocutore. Io seguo il film durante le riprese, le studio, penso a come andranno finalizzate le immagini. Sempre viene a vedere il mio lavoro e a discuterne il regista, al quale spetta l’ultima parola.

Con quali registi hai lavorato?
Salvatores, Bellocchio, Tornatore, Genovese, Giordana e molti altri fino a Zalone, l’ultimo l’ho fatto io. Qualche titolo: Perfetti sconosciuti, Il ragazzo invisibile, Tolo Tolo, La migliore offerta, ma anche serie televisive per la Rai e per Sky. Ora sto lavorando a Romulus, una serie di Sky per la prossima stagione interamente recitata in proto latino, cioè il latino delle origini, con i sottotitoli.

Ora, Christian, siamo a Cesiomaggiore, sotto le frasche del giardino di mamma Rita, che beviamo il suo caffè, e tu mi dici come niente fosse che lavori con questi nomi?
(ride di nuovo) A dirti la verità non lo dico mai, credo questa sia la prima occasione nella quale ne parlo. Per me è normale, vivo questo mondo da una vita. Sono grandissimi professionisti, spesso molto seri e cordiali. Ma rigorosi, come è giusto che sia. Ti racconto un aneddoto. Avevamo appena impostato i primi venti minuti del film di Bellocchio “Vincere”, soddisfatti del risultato. Arriva lui e dopo due minuti dice che era un tono troppo cupo, che non serviva a dare forza al racconto. Delusione, imprecazioni. Dover ricominciare tutto da capo. Il giorno dopo riguardo il lavoro con occhio pulito e, semplicemente, aveva ragione lui. Questo fanno i grandi registi: insegnano.

E tu come hai imparato?
Io ho imparato molte cose diplomandomi come perito elettronico in quella grandissima scuola che era (e spero sia ancora) l’Istituto Tecnico Industriale Segato di Belluno. Scrivilo, vorrei si sapesse. Io con il mio diploma ho passato senza alcun problema le selezioni severe alla Civica Scuola di Cinema a Milano, dove si formano molte professionalità del Cinema. Poi ho fatto tanta gavetta, tanto lavoro e fatica. Prima piccole case di produzione, poi le grandi, un’esperienza a Hollywood negli studi che post producono anche Spielberg e compagnia tanto per capirsi, il paese della meraviglie per un giovane colorist, ma tutto è partito da lì. Da Belluno, dall’Iti Segato e da Cesiomaggiore, da dove la mia famiglia mi ha incoraggiato ad andare per la mia strada.

Vivi a Roma, quindi.
Sì, e questo è il sacrificio piùgrande. Io non sono fatto per la città, non ci sto bene, ma il cinema in Italia si fa solo lì. Dà lavoro a tanta gente, adesso poi ci sono le serie italiane e straniere che impegnano per lungo tempo.

Ma con il digitale non si potrebbe fare a Cesio con qualche capatina strategica all’urbe?
Magari! Purtroppo no, io lavoro in un cinema. Proprio in un cinema, sul grande schermo, servono attrezzature specifiche e sofisticatissime. Ho avuto la fortuna di incominciare quando c’era ancora la pellicola: so cos’era quel mondo, quel modo di fare cinema, quel particolare timbro visivo. Paradossalmente, è uno delle cose che mi chiedono più spesso: vorrei un che da pellicola. I miei colleghi più giovani non sanno nemmeno cos’è, ed è un peccato. Secondo me questo rapidissimo passaggio dall’analogico al digitale, dalla pellicola al file è stata la più grande distruzione industriale del dopoguerra. Abbiamo perso meravigliose professionalità e un mondo incredibile di sfumature, sensazioni, manualità con noncuranza, un po’ come è successo con il vinile.

Covid a parte, come vedi il futuro del cinema?
Credo che sia inevitabile: le serie Tv stanno soppiantando le sale, molti film non escono neanche al cinema ma direttamente nelle piattaforme. Lì avviene anche la promozione, un red carpet virtuale. Pensa a Roma, il film di Cuaròn che nel 2018 ha vinto tutto il vincibile, uscito principalmente su Netflix. Le serie sono progetti lunghi, che fidelizzano lo spettatore. Io credo che questa sia la grande sfida dei cinema: restare cinema, restare sala, buio, pop corn, spettacolo.

Restare sogno, quindi.

La prossima volta che ci andate, al cinema, fateci caso: nei titoli di coda alla sezione Post Produzione, color grading, magari c’è scritto Christian Gazzi.

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