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Il casato dei Da Ros

leggende e realtà raccontate da Maria

Il casato dei Da Ros

leggende e realtà raccontate da Maria

La ricerca storico-araldica di Eddi Giovanni Da Ros cita come le prime tracce di questo casato siano riconducibili ad un certo Bernardo, citato dal figlio Orlando già dal 1192 in quel di Parma. Il figlio Rolando di Guglielmo di Orlando nacque nel 1229, era conosciuto come “il Rosso”, forse per il colore dei capelli. Da qui le discendenze furono tantissime, tra le quali il ramo dei “Da Ros”. Facendo poi un salto di qualche secolo si trova sulla fine del 1600 a Venezia Federico di Ippolito, il primo del Casato. Fu Alvise Da Ros, ultimogenito di Federico Ippolito a dar vita a un ramo dei Da Ros a Sarmede di Treviso. In successione furono discendenti Giacomo, Camillo, Saverio che diede vita a Pietro Da Ros (1842) che si trasferì per fame a Belluno località Antole dove sposò Celeste Da Rold. A raccontarci le gesta dei suoi antenati è Maria Da Ros classe 1929, una vispissima “single” di 92 anni che con simpatia e ironia ci fa entrare nella storia di questa affascinante famiglia trichianese.

PIETRO DA ROS CONTRABBANDIERE DI TABACCO
Pietro come detto arriva nel bellunese. Trova una colonìa da governare al soldo di una famiglia nobile della città. La vita dei mezzadri era sicuramente difficile, tanto lavoro e fatica, in cambio della metà del raccolto, spesso insufficiente a sfamare tante bocche. Pietro ben presto intraprende una seconda attività molto più redditizia, quella del contrabbandiere di tabacco. Costruisce un nascondiglio sicuro tra le intercapedini del solaio e del pavimento del piano rialzato. Luogo lontano da occhi indiscreti, ma non quelli dei topi.
Cambia nascondiglio: quale miglior posto del fienile non poteva esserci. Sicuro del nuovo nascondiglio, si prodiga a sviluppare sempre maggiori scambi. Ben presto Pietro guadagna un sacco di soldi. Le chiacchere circolano fino alle orecchie del nobile. Un bel giorno “al paròn” gli chiede del denaro perché caduto in disgrazia. Il patto tra i due uomini doveva rimanere segreto, ma Pietro – lusingato dalla richiesta e da un certo riscatto sociale – va all’osteria e offrendo da bere in abbondanza a tutti, racconta agli avventori il fatto del prestito. Ben presto il nobile era sulla bocca di tutti, l’ignominia dilagava, fintantoché quest’ultimo mandò i gendarmi in casa di Pietro per cercare il tabacco. I finanzieri scoprirono il ripostiglio del solaio, ma non poterono contestare nulla perché vuoto. Mai sarebbero arrivati al fienile, dove Pietro custodiva la sua fortuna. Le cose precipitarono quando il mezzadro Pietro fu costretto a lasciare Antole assieme alla famiglia, licenziato – probabilmente l’11 novembre dì de San Martin – dal malcapitato nobile.

A FRONTIN UNA NUOVA VITA
Pietro con la fortuna del contrabbando del tabacco e de la “sgnapa”, compra fondi e casa in località Frontin, riscattando la sua vita da colono a proprietario. La famiglia ora ha le condizioni economiche per ingrandirsi, dopo Giovanni classe 1886 nascono, Luigi, Piero, Teresa. Giovanni sposa Genoveffa Barp (1890) e dalla coppia nascono nove figli: Elisa, Ernesto, Teresa, Noè (morto in Brasile), Elia, Mosè, Enrico, Maria (la protagonista narratrice) infine Giovannina, morta piccolissima subito dopo il decesso del padre Giovanni nel 1932.

LA VACA NELLA CALCINA
I Da Ros, abbiamo capito, sono una famiglia molto intraprendente. Decisero di ampliare le case, nel luogo la materia prima non scarseggiava. Il torrente “Tiora” era abbondante di sassi da costruzione e da cuocere per la calcina. Prepararono una “calchèra” per la cottura dei sassi e una fossa con dentro una tina, per poi mescolare la calce con all’acqua. Malauguratamente una vacca al pascolo finì dentro il tino, fortunatamente ancora vuoto. Per non perdere la preziosa bestia, i Da Ros sfasciarono il tino per liberare l’animale.

INGEGNOSO ACQUEDOTTO
L’acqua era distante da casa, l’abbeveraggio delle bestie era lontano e scomodo. Negli anni 20, Giovanni e il fratello Luigi si industriano a costruire un acquedotto. La famiglia Alpago – Novello concede ai Da Ros di poter utilizzare una vena d’acqua nella loro proprietà. I due ingegnosi fratelli con tubazioni in piombo portano l’acqua fin dentro casa e dentro la stalla per gli animali oltre a una vasca esterna in cortile. Era l’unica famiglia ad avere l’acqua in casa. Successivamente gli Alpago Novello concedono un’altra presa d’acqua anche alla locale latteria.

SCHERZI SUL QUERTO
Sempre l’antenato Pietro in età avanzata si rendeva protagonista di racconti e fatti che tra lo scherzo e il teatrale incutevano timore ai bambini. Maria ricorda come si narrasse che in Canal di Limana un giorno camminando sul tetto della malga proferisse a gran voce questa asserzione: “Quando che ero vivo, passeggiavo su questo cortivo, e adesso che son morto, passeggio su questo querto” e poi giù tegole per far paura ai bocie.

MARIA: UNA VITA IN SALITA MA CORAGGIOSA
Maria ci racconta che a tre anni prese la poliomielite, prima camminava e poi tutto d’un tratto si trovò impedita nella deambulazione. La chiamavano la febbre dei boce. “Me fradel al me ha ciolt su in braz e al ghe ha osà a me mare: Mare Maria no la sta pì in pié. El me ha portà sul let. I ha mandà ciamar al dotor Luigi Alpago, ma la malattia no la era ancora conosesta”. Non bastasse all’età di 10 anni fu contagiata dal tifo, che le procurò tra l’altro una momentanea perdita di memoria.

Maria però era tenace e andò a scuola fino alla quinta elementare; a quei tempi riservata solo ai maschi. “Partìe a piè e tric-tric mi rivée sempre sorretta dal me bachetìn prima, e da na stampela dopo. Quando che vegnée fora da mesa, tuti i me paséea via, nesuni i avéa compasion de spetarme”. Ma subito sorride Maria, sorride ironicamente di sé stessa esorcizzando con grande intelligenza questa difficoltà che l’accompagna dalla nascita. Solo a diciotto anni il professor Variolo di Treviso le costruisce un tutore che l’aiuterà un po’ di più nella deambulazione.

Maria è tenace e impara a fare la sarta, si mette in proprio, ma non riesce a guadagnare quanto basta per mantenersi. Qualcuno le suggerisce si far domanda di pensione, però alla visita sentenziano che no è invalida abbastanza! “I ghe la dèa a chi che stea meio de mi. Alora ghe disée: deme laoro!”. Maria riuscì a trovare un impiego e per 17 anni lavorò nella fabbrica della Eaton a Belluno. All’inizio prendeva la corriera a Cavassico, ma era faticoso tutti i giorni fare un tratto di strada così lungo. Detto e fatto, Maria consegue la patente e si compra la macchina. Emancipazione e indipendenza completi.

AL MOROS
Tra tanta sfortuna Maria godeva di 15 giorni all’anno di terapie curative al mare. “Robe da rider” esordisce ridendo Maria. “Al mar avée na amiga polio che la se avéa maridà an polio, e la me arie cata anca a mi an compagno. La me porta a casa soa e la me presenta sto on che l’era senza na gamba. Urca bestia – ho pensà – mi olerie an on intiero no an toc den om!” Tra una risata e l’altra continua “Mi no ghe ho dit ne si ne no! Fato sta che an bel di al me è capità qua a casa, acompagnà da an autista. Al se ha palesà e al me ha dit che al me arìe ciolt, tant al sarìe gnest a star qua, come che arìe podest andar do da lu. “Ah no, no ghe ho rispondest!” Mi abituada a viver da sola a ciorme su an on, che al fin me arìe tocà mi andar a torno a lu! Mi no avèe nesuna intenzion, mi stée ben qua te la me caseta!”

AL SIGNOR NOL CIOL MAI TUT
Maria è incredibile. Pur nella grande sfortuna fisica che ha avuto in vita, ha uno spirito gioviale, allegro, sereno che ti contagia ed emoziona. Ma qual è il tuo segreto Maria? “I nostri veci ‘na olta i diséa: al Signor nol ciò mai tut! Se da na parte al me ciolt, ‘na gamba al me ha dat la forza par andar avanti”. Una vita vissuta in pienezza, da indipendente; una donna emancipata attorniata da tanto amore che ha saputo costruire nella vita, ora proferito a larghe mani dalle nipoti. Forte, decisa, convinta. “Son an leon!”

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