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Hermes Salton

da Marcador a Tokyo

Hermes Salton

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Hermes Salton

Gli orizzonti chiudono: impediscono di vedere oltre. Gli orizzonti contengono: pensieri e immagini. Gli orizzonti sono spesso compagni di cammino, soprattutto quelli che vedi fin da bambino, fuori dalla finestra di casa tua. Da Marcador di Mel l’orizzonte che si vede verso Nord è quello del Pizzocco, arancione al tramonto nel suo pezzo di roccia che arriva fino al cielo. Cielo solcato da strisce bianche di aerei che, oltre quell’orizzonte, volano liberi. C’era una volta un bambino che guardava sempre quel cielo, quella montagna, e sognava di salire su quegli aerei per andare a vedere non quello che c’è, l’Altopiano di Erera Brendol, ma quello che immaginava ci potesse essere: un mondo intero da scoprire. Quel bambino a vedere cosa c’era oltre l’orizzonte una volta cresciuto ci è andato davvero, lontanissimo, ad insegnare Relazioni Internazionali all’Università di Tokyo. Herman Salton, da Marcador di Mel, cinque lingue parlate, pubblicazioni di politica internazionale e premi vinti ai quattro cantoni del mondo, mi racconta la sua storia in un sabato sera di autunno (a Santa Giustina, ora di pranzo), da Tokyo.

Herman ciao, come va da quelle parti?
Ciao! Tutto bene! Qui non si tocca nessuno, inchini “a manetta”, tutti usano mascherine ogni inverno e stanno distanti gli uni dagli altri a prescindere, e in questo difficile momento aiuta! Il Giappone è dall’altra parte del mondo rispetto all’Italia e agli italiani, soprattutto. Sono un popolo molto rispettoso, pensa che in pubblico non si può parlare al cellulare né farlo squillare: te lo immagini in Italia un viaggio in metro senza nessuno che parli al telefono?

E come sei finito lì?
Io sono sempre stato affascinato dalle cose che non conosco, ho passato l’infanzia a chiedermi cosa ci fosse oltre il Pizzocco e a pensare a come fare per scoprirlo. Così, dopo un bel po’ di peregrinazioni in giro per il mondo ho accettato l’offerta all’Università e ho deciso di trasferirmi qui,

Come ti trovi?
Io mi sono sempre trovato benissimo dappertutto; trovo che il mondo sia pieno di persone interessanti, accoglienti e cordiali. Non ho mai percepito attorno a me nessun pericolo o astio, nemmeno quando giravo per i mercati del Bangladesh con tutti gli occhi puntati contro perché ero l’unico bianco e non mussulmano. Le persone fanno la differenza, la preparazione accademica ti porta a poter lavorare praticamente ovunque, ma secondo me è il tuo modo di porti di fronte agli altri e alle situazioni che rende interessante un’esperienza, che si tratti di andare a vedere i ciliegi in fiore o di fare una conferenza ad Oxford.

I celebri ciliegi del Giappone! È vero che sono previste delle vacanze per ammirarli?
I giapponesi lavorano sempre, con una puntualità e una precisione sbalorditivi. Per i ciliegi, però, si prendono una piccola pausa. È uno spettacolo talmente straordinario che è impossibile non farlo.
Tra l’altro, il fiore di ciliegio è il simbolo nazionale del Giappone perché immagine della bellezza e della fragilità della vita, che va goduta e accettata nella sua ineluttabilità . Un fatalismo che si riverbera nella concezione della vita di questo popolo, che vive sopra una faglia sismica ed è abituato e cataclismi, tifoni e terremoti. Una filosofia difficile da capire per uno che viene da un popolo i cui emblemi nazionali sono la pizza e la Ferrari! Sì, ed è proprio qui la differenza: i giapponesi sono meccanici, ingegneri, costruiscono edifici incrollabili, robot all’avanguardia, ma sono privi della nostra creatività e capacità di adattamento. Qui un treno in ritardo è roba da lutto nazionale! Recentemente il direttore della compagnia ferroviaria nazionale si è scusato col pubblico (con tanto di inchino!) perché un treno era partito 30 secondi in anticipo rispetto all’orario previsto. In anticipo, non in ritardo!

Come va all’Università?
Insegno Relazioni Internazionali in inglese all’Università Internazionale di Tokyo. Ciò comprende il diritto, la storia e la politica internazionali e cerchiamo di ragionare sugli equilibri politico sociali di diverse zone del mondo.

E come sta il mondo dal punto di vista geo politico, secondo te?
È evidente che sono i paesi non democratici ad avere più autorevolezza: Corea, Turchia, Cina, Russia. Paesi in cui l’informazione non è libera e che hanno gioco di spacciarsi per aree dove la popolazione vive con tutti i servizi necessari. Una posizione pericolosa per tutte le democrazie, nelle quali così faticosamente si cerca di difendere i diritti fondamentali per le conquiste che sono, e non come qualcosa di superfluo come in certi stati si fa passare. Barattare i diritti con i bisogni è un giochino che le dittature hanno sempre fatto.

Qual è il principale pericolo a livello di politica internazionale oggi?
Un pericolo molto insidioso, soprattutto perché non percepito nella sua gravità, sono le fake news, che arrivano ogni giorno a milioni di persone. Io leggo quotidiani da ogni parte del mondo in cinque lingue diverse eppure le corbellerie più incredibili mi arrivano su WhatsApp, che è molto più capillare e diffuso! Fare attenzione alle fonti, leggere, studiare, informarsi da fonti serie sono fondamentali armi di difesa del libero pensiero e della democrazia.

Non è un po’ complicato fare conversazioni in cinque lingue diverse? Non ti perdi mai qualche vocabolo per strada?
Certo che sì, e lo trovo sempre nella mia sesta lingua: il dialetto che parlo quotidianamente con i miei genitori al telefono da Mel. È la lingua materna, che ho sentito e imparato da piccolo. I miei nipoti, come tanti loro coetanei, purtroppo non lo sanno ed è un peccato. Intanto perché il dialetto ti dà un’identità, una radice localizzata nel posto dal quale vieni: il mio è per qualche verso diverso da quello di Santa Giustina, di Feltre o di Belluno. Poi perché ogni lingua porta con sé fonemi particolari: pensa al nostro “zavata” (ciabatta): quella zeta lì, pronunciata con la lingua vibrata in mezzo ai denti, per noi è normale, e per la lingua spagnola è fondamentale. I romani non ce l’hanno, e fanno molto più fatica ad impararla! (ride, ndr).

Torni spesso in Italia?
Cerco di tornare tre volte l’anno! Sono fortunato: la mia famiglia mi ha sempre incoraggiato ad andare per la mia strada ma resta il mio punto di riferimento. I miei genitori, che si sono mossi poco da Mel, hanno capito che io dovevo andare a vedere cosa c’era oltre il Pizzocco, e mi hanno sempre incoraggiato.

Perché là, oltre l’orizzonte, c’è sempre qualcosa da scoprire.

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