Fusione si, fusione no dei nostri comuni bellunesi? Non è un problema di “campanile”, ma di qualità, quantità e costi dei servizi pubblici locali e quindi la domanda interessa proprio tutti. Ma c’è una risposta?
Partiamo dal fatto che vi è una consapevolezza abbastanza diffusa sull’inutilità di tenere in piedi 60 e più comuni nella nostra Provincia, che conta ormai meno di 200.000 abitanti effettivi, sobbarcando sulle spalle dei contribuenti la spesa per altrettante strutture comunali, cui si aggiungono anche quella di 9 Unioni Montane, che fanno sostanzialmente le stesse cose. Ma, al di là dei costi, vi è soprattutto l’evidenza che per assicurare servizi adeguati ed un ruolo attivo dei comuni, come regolatori e promotori dell’attività dei privati e delle imprese, occorrono strutture ed uffici di una certa dimensione e specializzazione, che quasi tutti i piccoli comuni bellunesi non sono in grado di mettere in campo.
Questo ci dice la logica, ma va considerato anche il senso di appartenenza, particolarmente forte nei nativi dei comuni più piccoli e meno soggetti a fenomeni migratori, che è alla base della coesione sociale e del nostro splendido volontariato diffuso. Il proprio comune viene sentito, ancor prima di un erogatore di servizi importanti, come qualcosa che dà una identificazione sociale: è il proprio paese, il proprio territorio, con le proprie tradizioni e i propri rapporti e quindi la fusione con il comune o i comuni confinanti viene avvertita come un pericolo per questo mix di riferimenti e di abitudini. A ciò si deve aggiungere anche una certa tradizionale rivalità tra territori contermini come è naturale. Tutto questo fa sì, come dimostrato dagli esiti di alcuni referendum anche recenti, che il “campanile” talvolta finisce per prevalere sui vantaggi di una migliore organizzazione e di una maggiore economicità, che avevano convinto i sindaci e i consigli comunali, ma non la maggioranza dei loro concittadini.
Va peraltro evidenziato che anche tra gli amministratori e gli addetti tecnici ai lavori c’è chi sostiene che la fusione non sia il toccasana, tant’è che i dati statistici nazionali confermano che i comuni più grandi sono, più aumenta la loro spesa e probabilmente anche peggio funzionano. Le difficoltà per i comuni minori, affermano, non derivano dalla loro dimensione, ma dalle complicazioni burocratiche e dai controlli insopportabili ed inutili che lo Stato continua ad imporre loro, avendo a riferimento solo i grandi enti e altre zone della nostra lunga penisola.
Lo Stato quindi finisca di strozzare i comuni con norme astruse e inutili e lasci alle amministrazioni locali di regolarsi autonomamente (come direbbe anche la nostra Costituzione) perché esse con i loro cittadini sanno bene quello che devono fare, anche se piccoli, e non si può dare loro torto se guardiamo a come i comuni della parte alta della Provincia hanno saputo gestire i recenti disastri climatici.
Vi è infine chi sostiene la posizione intermedia dell’associazione dei servizi per un loro miglioramento qualitativo e per ottenere economie di scala, salvando cosi le attuali amministrazioni comunali. L’associazione dei servizi sicuramente si è dimostrata vincente, ma ha evidenziato anche che, se ai comuni si toglie la gestione dei servizi e delle attività autorizzatorie, perché ad esempio le si sono delegate alla propria Unione Montana, essi rischiano di diventare una casa vota.
Che fare allora? Una soluzione ottimale studiata a tavolino per tutti penso non sia oggi perseguibile, prova ne sia che anche lo Stato, dopo aver provato per anni ad impicciarsi malamente e contraddittoriamente nell’organizzazione degli enti locali per emergenze solo economiche e di cassa, sta facendo marcia indietro perché l’organizzazione della governance locale per sua definizione non può che nascere dal Territorio.
È invece essenziale che il problema non venga ignorato e tenuto nel frigo, ma che ne discutano attivamente gli amministratori ed i cittadini, magari con il coordinamento della nostra amministrazione provinciale. Poi le soluzioni migliori vengono col tempo.