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Domenico Menini

Don Josè e... al Troi del Mut

Domenico Menini

Don Josè e... al Troi del Mut

Violetta langue di tisi pensando al suo bell’Alfredo. Giace tra coltri lussuose, avvolta nella vestaglia di seta. Tutt’intorno anziché il palazzo classico della tradizione verdiana, ci sono alberi, sassi, prati: il troi del mut, sopra Sossai, su per la Calmada, luogo di pascolo e di antica agricoltura trasformato per l’occasione in affollatissimo teatro d’opera. Potenza di Verdi, del Libiam de’ lieti calici direte voi. Più propriamente potenza di Domenico Menini, tenore di fama, cittadino del mondo e castionese forever, e del gruppo frazionale che ha accettato la sfida di portare il bel canto in un ambiente che mai avremmo pensato.

Domenico, raccontami come ti è venuta in mente una cosa del genere!
Io sono e resterò sempre un bellunese e porto sempre nel cuore il mio paesino alle pendici del Nevegal. Anche adesso che vivo a Bologna e lavoro in tutto il mondo torno a casa almeno una volta al mese. Là tutti mi conoscono e seguono il mio percorso, e si sono fidati di me quando ho proposto l’opera in un luogo cosi inusuale. La parola magica è stata: divertente. Ecco al lavoro il gruppo frazionale: taglia l’erba, sistema i muretti, porta le “piere” per le sedute, pota alberi e “buscat” che neanche un giardino, cuci costumi e issa letti e mobiletti su per il sentiero.

Sul serio pensi che l’Opera lirica sia divertente? A parte il fatto che termina quasi sempre in tragedia, il bel canto non ha fatto il suo tempo? Oggi ci sono musical, You Tube, altri generi: cosa credi abbia da dire ai giovani un libretto ottocentesco?
Innanzitutto per noi italiani l’opera è cultura popolare, quindi identità collettiva imprescindibile. Pensa alla marcia trionfale dell’Aida, al Libiamo della Traviata o all’arrivo dei toreri della Carmen. Sono melodie che fanno parte di noi, magari alcune persone non sanno da dove vengono ma le hanno sentite, e se le ricordano. E poi parliamo di Mozart, Verdi, Puccini, la loro freschezza e vivacità e soprattutto la forza evocativa della loro Musica regge il confronto con chiunque, con qualsiasi genere musicale contemporaneo (figurati con un rapper qualsiasi)! Il musical, i video sono figli dell’opera, il linguaggio scenico è più sofisticato e attuale, ma la base è la stessa: recitare una storia cantando.

A proposito, quale dei due aspetti ti piace di più del tuo mestiere di cantante lirico: la voce o la recitazione?
Io canto da sempre, a casa con papà Bepi, a Castion con gli amici dell’Allegra Compagnia, ai campeggi, nel coro della chiesa, tutte esperienze che restano legate ai miei ricordi più belli. È stato uno dei casi della vita a farmi pensare di trasformare questa passione in un mestiere: quando ho lasciato l’Università e ho capito che non sarei mai diventato ingegnere, ho iniziato a cantare rock metal con un gruppo di amici. Tempi eroici quelli! Abbiamo partecipato anche a San Remo Rock!
Mentre lavoravo come operaio prima e come tecnico audio poi e giravamo a far serate con un furgone comprato di seconda mano, ho capito che sarebbe stato bellissimo fare del canto un mestiere e usare anche la recitazione! Sono due aspetti imprescindibili per un cantante d’opera: puoi cantare benissimo ma, se non sai interpretare il tuo personaggio, il pubblico perde metà della suggestione. A me piacciono entrambi: certo un tenore è soprattutto un cantante ed è nello studio della musica che ho concentrato gli sforzi maggiori, fino al diploma, che ho conseguito al conservatorio quando già cantavo.

C’è un’opera o un personaggio che ami particolarmente?
Sicuramente la Tosca: non solo c’è la sublime musica di Puccini, ma ha un perfetto meccanismo da film poliziesco, una vicenda pensata e allestita con una precisione e una suspense incredibili. Il personaggio è Don Josè della Carmen di Bizet: un campagnolo arrivato in città che non può che soccombere al malizioso fascino di Carmen e a tutta la sua femminilità!

Eravamo rimasti al gruppo metal…
Ah sì (ride)… nel frattempo ho vinto alcuni concorsi e iniziato a cantare nel coro del teatro La Fenice di Venezia. Erano gli anni della ricostruzione, e da lì sono passati i più grandi musicisti , cantanti e direttori: una palestra fantastica! Poi sempre con La Fenice ho avuto la possibilità di debuttare in qualche ruolo e in seguito ho fatto una tournée di due mesi in Australia, dove cantavo da solista un repertorio di musica sacra e operistica, ed il resto è venuto – più o meno – da sé.

C’è qualche progetto al quale sei più affezionato?
Ho partecipato alla creazione del progetto “Open Opera” in vari teatri della Toscana e della Liguria: si trattava di presentare e spiegare a bimbi dai 5-6 anni in su cos’è un’opera lirica. Il risultato è stato entusiasmante e commovente. I bambini non hanno filtri e sovrastrutture culturali: ascoltano, guardano, sentono di pancia. Dovevi vederli ascoltare a bocca aperta “All’alba vincerò”!

E a Belluno, quando ti potremo ascoltare ancora?
Covid a parte, spero di poter tornare presto a Belluno a cantare opera o magari ancora col gruppo dei Straviarte Phora. È un progetto musicale al quale tengo molto, dove mi concedo libertà di interpretare non solo lirica e di scrivere o riadattare canzoni e pezzi teatrali tra i più disparati. La nostra versione di “Anca i gat” dei Belumat è piaciuta molto, anche in inglese! E poi, naturalmente, arrivederci al Troi del mut!

Arrivederci a presto, Domenico, al Troi del Mut hanno già tagliato l’erba per un nuovo spettacolo.

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