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Comporre ai tempi del Covid

Federico Stragà

Comporre ai tempi del Covid

Federico Stragà

Un periodo certamente non facile per la musica e per gli artisti, in generale. Con stadi e teatri chiusi ormai da quasi un anno, come viene vissuta quest’attesa senza il grande pubblico dei concerti? Abbiamo fatto una riflessione in merito con Federico Stragà, cantante (e oggi cantautore) bellunese, bolognese d’adozione. Tanti i palchi prestigiosi calcati in più di vent’anni di carriera, interpretando brani noti al grande pubblico (da “Siamo noi” a “L’astronauta” per fare dei titoli), fino ai tributi live al grande Frank Sinatra. Durante la chiacchierata, abbiamo parlato anche di alcuni progetti musicali e del Sanremo, ormai alle porte.

Ormai da marzo 2020 anche la scena musicale ha subito un duro contraccolpo. Qual è la sua opinione sul tema?
Rendendomi conto nel tempo di questo fattore molto pesante, non solo per la categoria che rappresento, mi sento di dire che non voglio tornare alla “anormalità”. Mi spiego: prendendo per buona, e non entro in merito, l’origine naturale del virus, all’inizio avevo letto la cosa come un’opportunità, confidando in un blocco che imponesse un ragionamento e un cambio di direzione, ad esempio in merito allo sfruttamento dell’ambiente. Col passare del tempo questo è diventato una sorta di utopia. Forse c’è un minimo di sensibilità in più sui grandi temi ma gli argomenti che sento, anche sui media, sono comunque legati alla quotidianità, all’economia, ai soldi. Questa premessa per dire che questo momento ha portato la categoria a riflettere su se stessa e sul suo ruolo per la società.

Qual è questo ruolo?
Ci sono state numerose polemiche sul fatto che l’arte in genere non sia stata ritenuta essenziale per la società, in realtà sappiamo l’importanza anche economica di musica, cinema, editoria, ecc. Anche la musica ha subito una brusca frenata. Mi sento di dire che era inevitabile chiudere teatri, locali di musica dal vivo, quindi anch’io, come altri colleghi, rimango in attesa rispettando le regole e ritenendomi fortunato rispetto ad altri.

In che senso?
Penso ad esempio a esercenti con i locali chiusi che devono comunque pagare l’affitto o agli stessi gestori di cinema e teatri. Un pensiero va inoltre al mondo della maestranze, dai montatori agli elettricisti, dai fonici agli ingegneri del suono nei live. Come singolo, mi basta una chitarra e un computer e posso comporre, nell’attesa di suonare. Alcuni di noi hanno anche qualche aiuto dalle cosiddette collecting, enti che si occupano di raccogliere diritti legati all’esecuzione e all’interpretazione di brani, oltre a qualche altro ristori. Vi sono anche associazioni che si occupano degli interessi dei musicisti e seguono il dialogo con le istituzioni sul tema. Per questo ho la sensazione di essere minimamente sostenuto, ma la domanda è quanto potrà durare tutto questo.

Parliamo dei suoi progetti. L’ultimo disco è di quasi tre anni fa, ci sono delle novità?
“Guardare fuori” del 2018 è stato anche il mio primo disco da cantautore e sto continuando a percorrere questa strada. Ho delle canzoni nuove nel cassetto, ma devo capire “cosa farne”. Oggi è cambiato lo schema classico “casa discografica-produttore”. Basta pensare al prossimo Festival di Sanremo, dove buona parte dei nomi in gara sono campioni di visualizzazioni in rete e dunque è il web che detta le regole. Insomma, oggi fare un disco è un tuffo nel vuoto, in un mare di milioni di persone. Nella musica “Tutto è il contrario di tutto”: me lo disse Gianni Morandi, davanti a un tè, ancora 17 anni fa. Oggi tale assunto è sempre valido ma si è addirittura amplificato.

E come si può affrontare questo tuffo?
Uno non può far altro che dare importanza all’arte della scrittura, considerandosi un artigiano nel suo piccolo laboratorio, e facendo ciò che gli piace. Scrivo cose che mi rappresentano, che penso siano vere. Oggi, pur avendo avuto soddisfazioni e recensioni positive del mio ultimo lavoro, mi domando cosa farò dei nuovi pezzi. Potrei anche affidarle a un interprete, anche se questo, che una volta garantiva il successo, oggi spesso si riduce a una soddisfazione personale. Non ho nomi in mente: bravi artisti ce ne sono molti. Io sono cresciuto con la vecchia guardia dei cantautori: Fossati, Finardi, Bennato, Jannacci per fare dei nomi.

Parliamo di Sanremo, da dove manca da 18 anni (“Volere volare” con Anna Tatangelo, ndr). Cosa è cambiato da allora?
Sanremo è intanto una manifestazione televisiva, dunque si mette davanti la popolarità della persona. Vent’anni fa venivano magari esclusi bravi cantanti a favore di personaggi che potevano fare audience. Oggi, pur generalizzando, vengono favoriti dei fenomeni mediatici, che trovano consenso su Internet e poi si traduce in popolarità. In questo possiamo dire che è “uguale e diverso”. Di sicuro non è il Festival che è stato fino agli anni Novanta ma è ancora un riferimento importante per i cantanti, che ha anche rilanciato carriere mentre per alcuni può anche essere controproducente e riesco a seguire strade parallele. Comunque pochi rifiuterebbero una partecipazione.

Ormai risiede a Bologna da vent’anni, ma ogni tanto fa ritorno a Belluno?
Certo, nell’ultimo anno sono tornato pochissimo, ma solo in ragione delle restrizioni. Belluno resta la mia città. Comunque incontro molti bellunesi qui a Bologna e non resisto: li riconosco tutti e li saluto volentieri.

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