Provo a iscrivermi all’Università, poi vedo… Provo a convivere con Alessio, poi vedo… Provo ad andare in affitto, poi vedo…
Provare, provare, provare. E, alla fine, restare sempre sospesi, senza vedere (e capire) mai. In un’epoca in cui fioccano contratti a tempo determinato, affitti sempre più alti e case in vendita con prezzi sempre più bassi, carestie di matrimoni e cuccagna di relazioni part-time o mordi e fuggi, ci illudiamo che provare continuamente cose nuove, senza sentirsi mai realmente “vincolati” a nulla, sia sinonimo di libertà.
Ma cos’è la vera libertà? Creare un progetto a lungo termine, coltivarlo e curarlo quotidianamente come una piccola piantina che dipende da noi, esporsi, rinunciare al pensiero di poter avere una vita continuamente reversibile? O trovarci davanti a continui bivi, a continue scelte, a continui “provo, poi vedo”, percorrendo sempre strade nuove, più o meno stimolanti, con il rischio di perderci?
Bella domanda. E non di facile risposta. I nostri genitori, nonni, antenati insegnano: “C’è un tempo per ogni cosa, per ogni stagione, per ballare, cantare, correre qua e là, e un tempo per fermarsi, impegnarsi, scegliere”. I nostri genitori, i nostri nonni e i nostri antenati, sapevano bene che l’inverno era fatto per stare davanti al caminetto, ascoltare storie di terre lontane, cucinare minestroni di fagioli per ore, senza fretta, senza pensare a cosa potrebbe essere stato diverso da così, perché non ce n’era bisogno; sapevano che la primavera era fatta per le prime verdure dell’orto, per gli asparagi, la cicoria, i ravanelli, gli spinaci, per le prime sagre di paese e i primi baci rubati di nascosto, senza farsi vedere.
Sapevano che l’estate era fatica e caldo sui campi, pannocchie (e guance) arrostite, serate in cortile a ciacolar o a dugar a briscola, a ballare tra un bicchiere di rosso e una manciata di lamponi, mentre i più piccoli potevano scorrazzare sui prati giocando a nascondino; sapevano bene che l’autunno era dedicato alla mietitura, al vino mosto (che potevano – woow! – assaggiare anche i bimbi), alle castagne cotte sulla piastra del caminetto, che bisognava subito coprire con un canovaccio o con della carta di giornale, perché fossero più facili da pelare. E si pelava tutti, fino all’ultima castagna. E si parlava di tutto, fino all’ultima castagna.
In tutto questo, c’era forse bisogno (e tempo) di pensare alle mille altre alternative possibili? Da tutto questo, cosa possiamo (re)imparare? Forse, a dedicarci a una cosa per volta, quella che davvero conta per noi. Forse, a guardare prima a quello che abbiamo, che vogliamo, che davvero ci appartiene, prima di mollare subito per cambiare strada, ancora e ancora. Forse, a rilassarci dopo una scelta, a coltivarla fino in fondo, senza farci sopraffare dalla paura di aver sbagliato o dalla necessità di abbandonarla al primo ostacolo. Senza illuderci che gli ostacoli non esistano e non facciano parte anche delle scelte giuste.
Perché, in fondo, “c’è un tempo per ogni cosa”: per ballare, cantare, correre qua e là, per fermarsi, ascoltare, aspettare per ore che il minestrone sia pronto… per annaffiare la nostra piccola piantina e vederla, finalmente, diventare grande.