Il 26 agosto si celebrerà l’anniversario (189 anni) della nascita di Carlo Camillo Di Rudio, nato a Belluno nel 1832 e scomparso a Los Angeles il 1° novembre 1910. Egli è senz’altro celebre per aver combattuto insieme ad alcuni altri italiani emigranti – e per essere riuscito a sopravvivere – in una delle battaglie più dibattute della storia degli Stati Uniti d’America: quella avvenuta presso il fiume Little Bighorn il 25 giugno 1876, in un angolo sperduto del Montana, che provocò la sconfitta del 7° Cavalleggeri, leggendario reggimento capitanato dal tenente colonello George Amstrong Custer, per mano dei nativi d’America delle tribù Lakota, Dakota Sioux, Cheyenne, oltre a un manipolo di Arapaho, alla guida dei valorosi capi Toro Seduto, Cavallo Pazzo, Gal e Due Lune.
Nato a Belluno dal conte Ercole Placido Di Rudio e dalla nobildonna Elisabetta De Domini, fu soprannominato “Moretto” dai paesani di Cusighe per la carnagione e i capelli neri; visto fin da piccolo come un “monello” per il suo carattere sanguigno, amava la vita all’aria aperta nel parco della villa paterna ai piedi del monte Serva.
La prima fase della sua vita lo vide come cadetto austriaco con il fratello Achille, poi patriota mazziniano, difensore di Venezia con Calvi e della Repubblica Romana con Mazzini e Garibaldi, poi ancora esule in Gran Bretagna; la seconda fase, invece, combattente in America nella Guerra di Secessione, ufficiale di cavalleria nelle campagne contro gli indiani e al Little Bighorn, per concludere i suoi giorni alla veneranda età di 78 anni per malattia nella dorata California.
Un momento cruciale della sua vita è stato senza dubbio a metà tra le due fasi ed include la sua partecipazione alla congiura contro l’imperatore francese Napoleone III a Parigi, con la condanna alla ghigliottina e l’avventurosa fuga dall’Isola del Diavolo, resa celebre dal film “Papillon”.
Chi era dunque Di Rudio?
Un patriota, un avventuriero, un bombarolo? Forse tutte e nessuna di queste ipotesi; pur avendo avuto dei cambiamenti politico-ideologici, non rari nel periodo risorgimentale, fu peculiare protagonista della storia d’Italia, d’Europa e d’America, incredibilmente favorito dalla sorte nelle sue inverosimili peripezie.
Giunto in America nel febbraio 1864, tramite l’aiuto economico e le raccomandazioni del Mazzini, si fece registrare dalle autorità statunitensi come Charles C. De Rudio, e venne arruolato nell’esercito nordista.
La battaglia del 25 giugno 1876
Il piano operativo del generale Sheridan, comandante in capo dell’Esercito degli Stati Uniti, prevedeva un’azione a tenaglia contro gli “indiani ostili”. Al Di Rudio spettava il comando dello Squadrone “E”; Custer glielo nega, non avendolo in simpatia, e lo assegna invece allo Squadrone “A” con il maggiore Reno; questo cambiamento lo salverà da morte certa. A Little Bighorn ben presto il Custer si imbatterà in un numero enorme di indiani urlanti il celebre grido di guerra “Hoka Hey!” (che, tradotto in lingua Lakota, significa “Oggi è un buon giorno per morire”). Fu un massacro; il totale fu di 267 caduti e le cause della sconfitta furono attribuite all’errore di sottovalutazione del nemico e di tattiche sbagliate del controverso Custer.
La congiura contro Napoleone III
Di Rudio si congedò dall’Esercito nel 1896 e si trasferì a Los Angeles; nel 1904 gli venne conferita la promozione a Maggiore della Cavalleria. A breve stupì l’opinione pubblica europea rivelando che, nell’attentato a Napoleone III a Parigi, uno dei congiurati era nientemeno che Francesco Crispi, allora esponente della sinistra storica e presidente del consiglio dell’Italia unificata sotto Umberto I. Ma che motivo avrebbe avuto il Di Rudio per lanciare una simile accusa esponendosi a nuove peripezie? La domanda rimarrà senza risposta.
Il conte morirà il 1° novembre per broncopolmonite acuta; le sue ceneri sono sepolte nel National Cemetery del Presidio a San Francisco. Lo ricorda una semplice lapide bianca con una croce e la dicitura: “CHARLES C. DeRUDIO /Major, 7 th Cavalry /November 1, 1910”.