Un bianco portone a lato di una bella abitazione si apre lentamente: tutt’intorno è silenzio. Attendo che sollevandosi giunga all’altezza del mio naso per spiare all’interno e scoprire che cosa celi. Ancora un attimo e poi… eccoli apparire all’improvviso belli, maestosi, aitanti: sono un gruppo di cavalli al galoppo, dipinti sulla parete, quasi a creare una recita! Sembrano uscire di corsa dal freddo muro su cui l’artista li ha collocati. Corrono liberi, seguendo percorsi di luce, verso la libertà. La colorata sequenza occupa quasi cinque metri. La pittura è in acrilico su muro crudo. Il modello di riferimento sono i disegni di Augusto Murer. Poi tutto attorno compaiono degli arlecchini.
Tanti arlecchini proposti a grandezza naturale, rappresentati nel più noto dei costumi di Carnevale, fatto di pezze di colori rese a tinte forti, contrastanti, sgargianti. C’è l’arlecchino morente, quello addolorato o quello che va in scena accompagnandosi ad un candidissimo Pierrot. Sotto i miei occhi attoniti si dipana il teatro della vita. A spezzare il ritmo si inserisce una gigantesca fila di zucche mature, con manici e foglie ambrate con i caratteristici colori dell’autunno. È una natura morta, ma vi percepisco un rimando alla vita.
Ora fa capolino anche la musica sulle note di un arlecchino che suona un fiato, mentre un altro, che gli sta accanto, intona un dialogo alla luna. Nella stanza accanto staziona una batteria, strumento prezioso per cercare l’ispirazione. Torno al grande dipinto murale.
Quali vere e proprie metope, corrono lungo il bordo del gigantesco affresco (13 metri e mezzo di lunghezza per 3 di altezza) una nuova serie di figure. Sono uomini impegnati in lavori logoranti, donne al bagno, ragazzi al torrente, persone che fuggono e (quale sgomento) un alpino morente nel gelo della steppa, vittima raminga di una guerra indesiderata. I soggetti sono resi con colori uniformi e smorti (marroncini o violetti) che accentuano la loro funzione di cornice.
Preso da un impeto incontrollabile il mio sguardo ritorna al centro dell’opera, richiamato dal turbinio dei colori. Proprio allora, curiosando tra le forme, scopro delle finestrelle di muro chiaro e non trattato come fossero dei segnaposto. Avvicinandomi scopro dei tratti a matita che riprendono i volti di personaggi noti. Si distinguono Einstein, Woody Allen, Stalin, Lenin, Marx, Andy Warhol. Sembrano loro pure incuriositi dalla gigantesca scena che li avvolge e li nasconde.
Poco lontano un fauno armeggia sul suo flauto: le note si sparpagliano nel grande dipinto. In fondo a destra, (là dove la parete si infrange ad incontrare il proprio angolo), una barca trasporta alcuni viaggiatori, dai tratti mediterranei, verso un ignoto destino. Sulla parete di fronte un angelo goffo (coi caratteri propri dello stile di Vico Calabrò) sembra vegliare perché nessuno osi toccare il dipinto.
Questo luogo misterioso che riprende le scenografie di un film a colori è nell’abitazione privata del suo autore, Carlo Cassol, che preferisce rimanere nascosto e silenzioso, lasciando che siano le forme, i suoni, le luci e i colori che ha intrappolato nel muro di casa a parlare in sua vece.