Bortolo Maccagnan era conosciuto nel piccolo abitato di Celarda (e non solo) per la sua generosità d’animo e per l’intraprendenza. Un grande vuoto ha abbracciato la comunità ai piedi del Monte Miesna quando lo scorso maggio, alla veneranda età di 101 anni, l’alpino Bortolo è passato a miglior vita, ma questa pagina, oltre che un ricordo indelebile del suo passaggio a Celarda, rimarrà un racconto di quelli belli, da abbracciare con il cuore.
Padre di Antonietta, Gianvittore e Marino, nonno di quattro nipoti e bis-nonno di sei – di cui con la più piccola, aveva ben 99 anni di differenza – si era sposato appena dopo la guerra, intorno ai 23 anni, con l’amata Franceschina Corso, di cui si era innamorato prima della grande partenza – Bortolo era reduce di Russia – e per la quale, per amore, aveva lasciato l’originario paese di Mugnai dove nasceva il 21 dicembre 1919. Nella sua lunga vita diversi sono stati i mestieri che hanno appassionato il suo instancabile carisma e molto anche il volontariato prestato per l’abitato feltrino.
Aveva svolto servizio al vicino Vincheto, ma amava particolarmente la vita rurale: un percorso zeppo di sacrifici, ma che lo rendeva realmente soddisfatto. Tutto era iniziato per dare una mano alla moglie ed oggi è portato avanti dall’azienda agricola di famiglia, in particolare dal nipote Filippo che ci racconta: «Del nonno mi rimarrà sempre impresso che ti faceva capire subito quando vedeva un lavoro ben fatto, era una grande soddisfazione ricevere un suo complimento!».
Continua: «Quando mi vedeva fare certi “mestieri”, sorrideva di fronte alle tecnologie di ultima generazione: probabilmente ripensava, lucido com’era, a tutta la fatica che aveva fatto anni prima quando si trovava al posto mio. Un aneddoto molto divertente riguarda il campo da calcio di Celarda, che lui e gli altri volontari erano abituati a tagliare e sistemare a mano. Fu una grandissima sorpresa per il nonno scoprire che la rigogliosa erbetta verde, che oggi vediamo, non si taglia e non si cura perché sintetica!».
Mai seconda a nulla, il suo più grande orgoglio andava proprio alla famiglia, numerosa e molto legata a lui. Il “nonno Nino” però – forte della sua veneranda età – era un vero e proprio punto di riferimento a Celarda e amava particolarmente stare con i più giovani, tanto che era un po’ il “nonno di tutti”.
Si evince dal contesto che accoglie chi entra nel cortile di quella che era la sua casa, che si tratta di un luogo di ritrovo e socialità, grazie alla lunga tavolata e l’ombra di un grande albero: un invito a risanare, con quattro chiacchiere, lo spirito!
Tra gli altri “toccasana” per una vita lunga come la sua, la famiglia ci racconta dell’immancabile caffè corretto, del bicchiere di moro ad ogni pasto, del fatto che non mancasse mai la santa messa del sabato sera e che la domenica fosse sacra e dedita al riposo e al tempo con i cari. «Nonno Bortolo non era mai oltre le righe: trasmetteva serenità e dalle cose brutte riusciva sempre a voltare pagina. Era una persona che dava una spiegazione a tutto, trovava un positivo anche dove gli altri magari si innervosivano. È incredibile, in così tanto tempo, non averlo mai visto arrabbiato!», commenta Filippo.
Il nonno Nino, oltre alla sua terra e la sua famiglia, aveva due altre grandi passioni: la Feltrese, di cui non si perdeva una partita, e anche gli Alpini.
La nuora racconta: «Da quando era andato in pensione, non perdeva mai l’adunata! Una volta lo portammo al venerdì, ma non era soddisfatto e grazie al Gruppo Alpini del paese – ed in particolare al suo “scudiero” Ennio Curto – riuscì a sfilare orgoglioso anche alla parata di domenica!». 101 anni senza mai un malanno, i raffreddori curati con “na scudela de lat con la sgnapa” e, anche se il corpo non aveva la stessa forza di un tempo, una testa vigile a attenta e sempre curiosa di scoprire. Scommetto che anche tu, che stai leggendo ora, ti chiedi: “Dove posso far firma per una vita così?”.
«Da un lato voglio credere che questa longevità sia stato un “merito” riconosciutogli dal Signore a cui era tanto devoto per tutto quello che ha patito da giovane in guerra», commenta il nipote. «Ne parlava spesso, anche se la sua verità non l’ha svelata mai a nessuno. Uno degli aneddoti più frequenti nei suoi racconti era quello del ritrovo con i commilitoni in Russia di una baita. Dentro questa trovarono cose calde da mangiare e la voglia era tanta, ma la paura che fosse avvelenata di più della fame».