Anche in questi mesi di emergenza si è parlato di autonomia, di come poter avere maggiore capacità decisionale a livello locale ci potesse dare dei vantaggi. E così mi è tornato in mente un approfondimento sul tema a cui avevo partecipato, quando ancora si facevano i corsi “tradizionali” di formazione obbligatoria per giornalisti, dal titolo “Autonomie regionali, fattori di freno o agenti di crescita?”. Faccio anche un’altra premessa: ho avuto i primi contatti con l’autonomia trentina a fine anni 90, quando ho scelto quella città per l’università, e tra gli elementi che hanno favorito questa scelta c’erano anche i costi più bassi in tasse. Poi ho scoperto un ateneo tecnologicamente più avanzato di quelli veneti, e nel tempo, grazie alle amicizie sul posto, ho visto come si è evoluta quella provincia, da noi spesso invidiata per le disponibilità economiche. E ho colto al volo quest’occasione per un approfondimento un po’ più tecnico. Quella giornata di corso, con relatore Mauro Marcantoni, sociologo e giornalista, direttore dell’Istituto per l’assistenza allo sviluppo aziendale di Trento, mi ha permesso di capire di più la realtà di questa autonomia .
L’importanza di istruzione e capitale sociale
Uno degli aspetti, sottolineati da Marcantoni, è che le analisi fatte da sociologi ed economisti a partire dagli anni 60 hanno messo in evidenza come un ruolo importante nello sviluppo trentino lo abbiano avuto l’istruzione e il capitale sociale, “patrimonio collettivo i cui elementi costitutivi sono, oltre al livello di istruzione, la fiducia tra le persone, la solidarietà, la partecipazione e l’impegno nella vita pubblica, le aspettative di cooperazione reciproca, la capacità di creare reti di collaborazione”. È questo un elemento che spiega il motivo per cui il Trentino ha avuto una crescita del PIL pro capite da record, passando dall’85,7% rispetto alla media nazionale del 1938 – valore che ha fatto prevedere l’attribuzione dei 9/10 delle risorse all’autonomia regionale prima e provinciale poi – al valore record del 2015 di 127,9, battuto solo da Bolzano con il 152,10. La riprova che non sono solo le risorse a fare la differenza viene dai valori delle altre regioni autonome, come il Friuli Venezia Giulia, che non ha visto crescite, e resta in linea con la media nazionale, o la Sicilia che, nonostante l’introito del totale del gettito e le risorse aggiuntive statali, rimane al 63% rispetto alla media nazionale.
La grande “scommessa”
Il Trentino ha fatto una grande “scommessa”, come l’ha definita Marcantoni: per una regione arretrata proporre nel 1971 di fare tutto da soli con i 9/10 del gettito provinciale voleva dire essere convinti che ci sarebbero stati crescita e sviluppo. Certo ha aiutato il periodo della “finanza allegra” dei primi anni 90: anni in cui in tutta Italia si spendeva senza attenzione al debito pubblico in crescita esponenziale, e in cui anche Trento si portava a casa risorse aggiuntive con progetti speciali o con interpretazioni di favore delle norme. Questo periodo è forse quello in cui dal di fuori si vedevano i privilegi dell’autonomia e sono nati pregiudizi duri ad essere superati.
Già a fine anni 90 si comincia a parlare di revisione delle risorse destinate alle regioni a statuto speciale, cominciano le politiche di tagli alla spesa pubblica in Italia e, in ottica di equità, anche a queste regioni viene chiesto di fare dei tagli. Come conseguenza, il Trentino è tornato a dover contare solo sui 9/10 del gettito interno, perdendo le altre risorse non spettanti. Ma la questione restava sul piatto, e le minacce di tagli rimanevano vive. E qui la scelta della Provincia è stata di rilanciare, di cambiare la prospettiva: “Non rinunciamo ai nostri soldi, ma in cambio ci prendiamo in carico altre competenze delegate dallo Stato, finanziandole con le risorse che già abbiamo”: competenze importanti anche economicamente, come l’Università o il personale amministrativo della scuola o della giustizia. In pratica oggi in Trentino lo Stato paga i magistrati e si occupa di pubblica sicurezza, tutto il resto è a carico della Provincia, con tutto quello che ne consegue, perché autonomia vuol dire anche non poter chiedere risorse aggiuntive in caso di calamità o di crisi, ma doverne fare fronte con le proprie risorse.
Quest’ampissima autonomia come si è declinata in Trentino?
La struttura amministrativa locale è tarata sulle realtà di montagna: a fronte della presenza di tanti piccoli comuni, si è deciso di creare le comunità di Valle, un organo intermedio che permette di adottare politiche unitarie nelle vallate e che tutela le specificità locali, come le minoranze linguistiche. Anche a livello di giustizia oggi in Trentino esistono ancora le sedi distaccate nelle vallate di Giudici di Pace, che da noi si sono persi per motivi economici.
Dopo un’analisi di questo tipo mi sono chiesta se davvero sia necessario fondare la battaglia per l’autonomia su questi “9/10 del gettito come in Trentino”, troppo spesso sbandierati dai nostri leader, o non sia forse da fare un ragionamento sulle capacità che ci sono per sfruttare l’autonomia, impostando politiche valide per la nostra provincia e regione. Se in Trentino si assiste a una crescita demografica anche nei piccoli comuni montani, in Friuli non è lo stesso, anzi, la Carnia sta subendo uno spopolamento analogo al Bellunese nonostante l’autonomia, e la spiegazione non può essere solo ricondotta alle minori risorse dell’ente (il Friuli trattiene “solo” il 7,5/10 del gettito).
La ricetta
L’autonomia per il Trentino è diventata un circolo virtuoso, le risorse disponibili sono state investite per creare occupazione contrastando un fenomeno che noi conosciamo fin troppo bene, lo spopolamento, e registrando dei tassi di crescita impensabili altrove in Italia. Questo ha di conseguenza aumentato il gettito fiscale e le risorse disponibili per investire ancora di più sul territorio, anche sul nostro territorio con il meccanismo dei Fondi Comuni Confinanti.
Gianfranco Cerea nel sul saggio propone, come ragioni del successo dell’autonomia trentina, la capacità amministrativa, l’esperienza già maturata di autogoverno ai tempi dell’Impero Austro-ungarico, ma anche l’elevato livello di istruzione raggiunto in regione, un elemento che contribuisce all’aumento del PIL, l’apporto di tante professionalità e l’impegno di tutti per il bene comune che è forse la vera sfida dell’autonomia: quella di essere tutti assieme una leva per contrastare lo spopolamento, diventando strumento per attrarre nuove professionalità che possano far crescere il nostro territorio.