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Attilio Candeago

autista personale di Pasèro Tancredi

Attilio Candeago

autista personale di Pasèro Tancredi

Sembrerebbe un’impresa un po’ difficile fare un salto di quasi cent’anni per ricordare un momento di “effimera celebrità” di un nostro paesano, Attilio Candeago di Libano, quando frequentava i “salotti buoni” dei principali teatri europei al servizio del grande cantante lirico torinese Tancredi Pasèro. Ma non lo è affatto perché, a rinfrescarci la memoria, è il figlio Luciano Candeago, noto barbiere di Libano e grande custode di cimeli familiari e di foto d’epoca scattate e sviluppate dalle sapienti mani della madre Parisina Maria Canzan (vedi “il Veses”, dicembre 2013).

MA CHI ERA TANCREDI?
Fu uno dei tre più grandi cantanti lirici bassi del Novecento assieme a Pinza e De Angelis. Nato a Torino nel 1893, ha debuttato ufficialmente a Vicenza nel 1917 cantando nella parte di Rodolfo nella Sonnambula di Bellini. Venne chiamato alla Scala di Milano da Arturo Toscanini nel 1926 per lo studio del “Don Carlo” di Giuseppe Verdi. La sua lunga carriera fu costellata di grandi esibizioni nei principali teatri del mondo, dal Metropolitan di New York al Colòn di Buenos Aires.

Cantante tecnicamente sopraffino, aveva una voce “senza limiti”. Poteva permettersi delle parti baritonali fino al sol, come nella interpretazione rossiniana del “Mosè”, o in scioltezza arrivare al fa alla chiusa di “Ecco il Mondo” nel Mefistofele di Boito. Il settore grave era ampio, sicuro, scurissimo e vibrante, mentre il settore centrale era particolarmente curato dal punto di vista espressivo; era abile sia nel bel suono strumentale, ma anche nell’essere chiaro nello scandire le parole. Ecco perché Pasèro fu definito “voce verdiana”: perché per cantare Verdi occorre il tipo vocale di basso più completo possibile, possente ed agile nella voce, scuro nel suono e ricco di risorse drammatiche l’attore. Era sposato con Libuše Pavliková, celebre soprano di Praga.

AUTISTA PERSONALE
Negli anni 30 Tancredi Pasèro era all’apice della carriera, viveva a Milano perché la Scala era il suo primo teatro. In quegli anni la famiglia Candeago di Libano era in città per lavoro. Attilio, classe 1906, aveva conseguito una “patente di abilitazione di secondo grado” rilasciata dalla Prefettura di Milano nel 1932 e, potendo condurre automobili per uso privato da professionista, si trovò a fare da autista personale alla famosa star lirica del tempo.

UNA VITA APPARENTEMENTE IN VETRINA
Per tre anni condusse una vita “apparentemente in vetrina”, sempre in “livrea”, elegantissimo come si conveniva per uno “chauffeur” di alto rango, alla guida di auto chic, ammirata con meraviglia e stupore nelle strade dai passanti; faceva orari di lavoro massacranti, viaggi di trasferimento notturni e doveva essere sempre a disposizione del Maestro di giorno. Il periodo era oltretutto molto particolare, in pieno regime fascista: il rapporto tra “maestro” e autista subalterno era di stile “militare”. “Me papà al dovéa sempre star sull’attenti”. I bisogni erano tanti, Attilio era dibattuto tra l’aver un lavoro sicuramente invidiabile per le tante opportunità che presentava, come girare l’Italia, la Francia, la Svizzera; frequentare persone di rango, teatri, cene, ricevimenti, autorità politiche e culturali, o ritornare a un lavoro più umile vicino alla famiglia. La “vetrina” luccicava per il grande Maestro, non certo per Attilio che si spaccava la schiena in quattro per reggere ai tour-de-force.

La moglie Parisina Maria la vedeva solo nei rientri a Milano, il loro appartamentino in Via Toci 13 era malinconico. Solo il piccolo Ennio nato a Milano nel ‘36, sapeva portare un po’ di allegria in famiglia quando diceva che la sua casa era in via “Cioci numero ciecici”.

La famiglia resiste, ricevono da casa anche due materassi di lana e biancheria da letto da Libano spediti via treno dalla stazione ferroviaria di Mas-Sospirolo, come testimonia il documento datato 9 aprile 1937. Ma nel 1938 Attilio, Parisina Maria – incinta del figlio Luciano – e il piccolo Ennio rientrano al paese natale di Libano, dove non c’erano palcoscenici luccicanti, ma pace a rendere la vita più serena. Ma per quanto?

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