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Antiche varietà di sorgo turco

rigermogliano a Gus di Mel

Antiche varietà di sorgo turco

rigermogliano a Gus di Mel

Con il ritorno delle caravelle di Cristoforo Colombo dal nuovo continente, nel 1492, assieme ad altri “cibi sconosciuti”, giunsero in Europa le prime pannocchie di uno strano grano, chiamato màhiz (zea mays) dagli stessi indigeni. Il nuovo cereale, solo inizialmente coltivato nella penisola iberica, trovò quasi subito l’interesse della Repubblica di Venezia, sempre attenta alle novità da inserire nel suo emporio mediterraneo. Furono quindi gli agricoltori padano-veneti ad introdurre, intorno alla prima metà del Cinquecento, la coltivazione del grano turco – sorgo turco – mais, (sorc nel bellunese), inizialmente in piccoli poderi o orti sperimentali, per poi diffonderla nelle zone limitrofe e solo più avanti in tutta la penisola.

Fino a quel momento le coltivazioni cerealicole erano essenzialmente costituite da: frumento (varie varietà tra cui il farro), orzo, segale, avena, miglio, sorgo (sorghum vulgarem – saggina), panico (miliaceum e italicum) e grano saraceno (fagopyrum). L’introduzione del nuovo cereale, poco adatto alla panificazione, ma perfetto, ridotto in farina, per la preparazione di semplici polente, diede così inizio ad un radicale e significativo miglioramento delle abitudini alimentari delle popolazioni, in particolare del ceto povero. L’utilizzo soprattutto nell’Ottocento della polenta quasi come alimento primario, diede origina alla pellagra, malattia che per oltre un secolo provocò numerose morti anche nel bellunese per malnutrizione.

Ma veniamo all’arrivo del mais nel Bellunese. Genericamente se ne è sempre attestata la presenza nel bellunese fin dal 1617, facendo fede a quanto scritto dal canonico G.B. Barpo, che così lo racconta nella sua opera Le delizie e i frutti dell’agricoltura, pubblicata nel 1634: “… se il Signor Benedetto Miari … non avesse per primo di tutti, quello seminato (il mais), coltivato, e raccolto, comunicandolo a tutti agli agricoltori…”.

Nella seconda metà dell’Ottocento, l’opera di A.M. Bazolle, Il possidente bellunese riprende essenzialmente gli stessi concetti, consigliando tra l’altro di seminarlo tra il 20 aprile e il 10 maggio. Ora, in tempi più recenti, una nota archivistica di V. Parrino, nell’Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore, attribuisce alla Certosa di Vedana, nel 1601, i primi esigui raccolti di mais (documenti oggi conservati in ASBL.); Gigi Corazzol, in Cineografo di banditi su sfondo di monti, lo segnala nell’area feltrina nei primi cinque anni del Seicento; Danilo Gasparini, nella sua opera Polenta e formenton, fa risalire le colture del mais nel trevisano dal 1588 per quel di Feltre e Cividal di Belluno circa dal 1590.

Inizialmente poche erano le staia di sorgo turco segnalate; la coltura comincia la sua straordinaria diffusione nell’area collinare montuosa bellunese, sicuramente nel primo decennio del Seicento. Ricerche di Luciano Riposi nell’anno 2009 nell’Archivio Comunale di Mel, riconducono a un inventario, datato 10 febbraio 1573, e tra i beni degli eredi del fu ser Gaio, q. ser Sebastiano de Gaio da Mello, assieme ad altri cereali, si fa riferimento a stara 5 di sorgo turco (lo staro o stajo era un’unità di misura con capacità di litri 83,31 a misura di Mel, corrispondente oggi a circa 66,5 kg. di mais). Con questa attestazione gli Zumellesi, potranno forse vantare un “pionerismo” nell’introduzione del mais nella vallata bellunese, essendo stati tra i primi a sfòjolar le panòje nell’autunno del 1573.

In tempi più recenti l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Bergamo (CRA), nel 1953, invia i suoi agronomi nel Veneto per la raccolta e la conservazione di varietà autoctone di sorgo turco. Nel territorio zumellese, una delle varietà raccolta è la VA78 GE0N6 0, nostrano di Pellegai. Lo scrivente nella primavera dell’anno 2020 “recupera” dall’Istituto di Bergamo una esigua quantità di granella congelata, la semina in un piccolo campo di sua proprietà a Gus di Mel e, nel settembre dello stesso anno, avviene la raccolta di una cinquantina di pannocchie, che conservano integre le caratteristiche e la qualità iniziale, mantenendo inoltre le note distintive di quasi settant’anni fa. Queste caretteristiche nei decenni passati si sono perse, preferendo varietà di seme con rendimenti superiori, talvolta a scapito della qualità e delle virtù alimentari. La pannocchia raccolta si presenta di dimensioni modeste, generalmente con dodici ranghi – file, con una quantità di semi/grani che può variare dai 330 ai 400, il colore è giallo-aranciato e il seme (cariosside) non presenta depressioni nella sommità, (oggi molte varietà moderne presentano questa caratteristica), la granella risulta più minuta e molto compatta, ben inserita nel tutolo (pòtol) ad intervalli regolari con contorni pressochè circoscritti, il fusto risulta leggermente più basso al pennacchio e anche il suo diametro è leggermente inferiore al mais odierno.

Parallelamente si anche seminato una esigua varietà di frumento di origine Toscana, il farro della Garfagnana (il farro è il capostipite dei frumenti moderni), questo tipo di cereale antico possiede una bassa resa in relazione alla superfice coltivata, ma risulta facilmente adattabile anche ai nostril climi collinari, le sue proprietà per la panificazione sono molto apprezzate cosi come sono molteplici i suoi utilizzi in cucina.

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