i nonni, un “patrimonio dell’umanità da conservare” e valorizzare. Ognuno con una propria storia che racconta di cambiamento, col punto di vista di chi ha la saggezza per insegnare le trasformazioni dei valori.
Tante volte un nonno può essere stato parte attiva del cambiamento tecnologico, come nel caso di Angelo Zanin, 90 anni, che risiede a Soranzen di Cesiomaggiore con la moglie Carmen Pollet.
Angelo nasceva nel 1930 a Saint-Clair-Du-Rhône, da genitori italiani in Francia per lavoro. L’inizio della guerra e le vicende geopolitiche costringeranno la famiglia al rientro in Italia undici anni dopo, quando Angelo era ancora bambino.
«Mi ricordo la sensazione della fame, non c’era molto da mangiare. Già all’età di sette anni raccoglievo le pannocchie e le riducevo in polvere con il macinino da caffè per fare la farina di polenta, principale fonte di sostentamento. 25 centesimi di lira era la ricompensa che mio papà mi dava per ogni catino di polenta consegnato. Ho anche un ricordo del viaggio di rientro in Italia: in frontiera a Modane, sono rimasto chiuso, per errore del guardiano, nei bagni pubblici. Quanta paura avevo, di rimanere lì!».
Ma per fortuna qualcuno si è accorto del povero Angelino e il viaggio è ripartito serenamente verso Soranzen, un luogo dove il destino si incrocia con Carmen, che ancora si ricorda di questo bambino che con lei giocava con la slitta oltre che dei primi sguardi fugaci alla fermata dell’autobus.
Angelo era un ragazzino sveglio, soprattutto nelle materie pratiche: «Avevo difficoltà nell’italiano, io scrivevo principalmente in francese, ma mi ricordo che la mia maestra era molto paziente perché vedeva che quello che mi insegnava lo assimilavo in fretta». In un solo anno Angelo ha fatto tutte le classi elementari, ma la sua formazione è sempre stata continua soprattutto da autodidatta.
Il primo contatto lavorativo è stato con un’impresa edile in Svizzera, nel ‘49. Al quarto mese di lavoro, tenta di accedere al posto vacante di tornitore in un’altra azienda.
«Nonostante la minaccia del mio vecchio capo di rispedirmi alla frontiera (al tempo, senza un lavoro stabile, non si poteva stare in Svizzera, ndr) abbiamo trovato un accordo e, dopo sei mesi da tornitore nella nuova azienda, mi hanno passato in ufficio a realizzare dei disegni tecnici. Ma il mio cuore cercava l’Italia e qualche mese più tardi mi sono spostato a Predazzo per un lavoro di impiantistica elettrica ma soprattutto per avvicinarmi alla mia famiglia e a quella che nel 1954 sarebbe diventata mia moglie».
Quando Angelo è arrivato a Predazzo, precisamente a Forte Buso, la diga era appena alla sua base.
«La centrale di Caoria era alimentata dal Lago di Forte Buso mediante una galleria. L’acqua che vi si riversava era richiesta a seconda della necessità di energia e tutto ciò che concerne l’azionamento, o meglio, il meccanismo di pompaggio, non era automatico. Sono stato io ad introdurre questo importante cambiamento!» dice Angelo orgoglioso.
«Uno dei pericoli era il gelo perché gli impianti si bloccavano e la popolazione rimaneva senza elettricità». Interviene Carmen: «Mi è successo di avere i bimbi piccoli e di scaldare, a causa della mancanza di energia, la camomilla con una candela. In questi casi ci si trovava completamente isolati! Niente luce, niente acqua, niente telefono per ore e ore.»
Riprende Angelo: «Per evitare il congelamento ho pensato di creare uno scambio automatico tra la centrale di Predazzo e quella di San Silvestro e questo grande disagio per la popolazione è stato evitato». Angelo si dedicava poi allo studio serale per tenersi aggiornato, leggendo il magazine “Nuova elettronica”, di cui conserva ancora i numeri. Nel 1965 si trasferiva alla centrale di Moline, dove è rimasto fino alla pensione. Oggi Angelo rimane all’avanguardia. Mentre Carmen preferisce carta e penna, lui sa usare Amazon ed è stato sorprendente scoprire che ricorda ancora tutti i termini tecnici del suo lavoro, oltre che i nomi dei suoi mentori.
«Non ho nessun rimpianto perché qualunque cosa l’ho affrontata con passione. È proprio questo sentimento che ci permette di fare il “salto”, superando le nostre paure. Ad un giovane, ma a chiunque, consiglierei di non focalizzarsi semplicemente sulle ore lavoro e sullo stipendio, ma sulla volontà di migliorarsi, di superare i propri limiti. Mi piacerebbe che i giovani fossero più curiosi di imparare, più orgogliosi di quello che fanno, li renderebbe più responsabili e realistici.»